ELEZIONI 2018: LA PROPOSTA DELLA C.L.N.

29.6.17

MACRON (ANCHE LUI) ANDRÀ A SBATTERE CONTRO IL SOVRANISMO TEDESCO di Piemme

Com'è noto il mandato di Mario Draghi come Presidente della Bce scade nell'ottobre 2019. E' noto che i banchieri tedeschi non hanno mai davvero digerito la sua politica monetaria "espansiva" (Quantitative easing), politica che senza dubbio ha evitato il crack del sistema bancario dell'Unione (checché se ne dica a Berlino quello tedesco incluso), quindi la stessa moneta unica. Critiche a Draghi che sono state reiterate anche di recente Il presidente della DeutscheBundesbank Jens Weidmann [nella foto] ha ad esempio affermato a Berlino il 29 maggio scorso:
«Solo per pochi la Coca Cola può fare parte di un regime alimentare sano e la caffeina, al posto di uno stile di vita salutare, alla fine non fa che aumentare i rischi. Per lo stimolo monetario vale lo stesso: può essere usato, come la caffeina, per ‘risvegliare’ l’economia ma un consumo eccessivo porta a rischi e a effetti collaterali nel tempo...Anche la Coca-Cola, come le politiche di sostegno monetario, vengono usate come rimedi per tutti i mali: oltre al suo vero compito, che è quello di mantenere stabili i prezzi, la politica monetaria dovrebbe rafforzare la crescita, abbassare il tasso di disoccupazione, garantire la stabilita’ del sistema finanziario e, assieme, anche rendimenti adeguati ai cittadini».
Al netto delle analogie gastronomiche, un distillato chimico della dogmatica monetarista teutonica (stabilità dei prezzi come stella polare), un esempio del rapporto patologico che in Germania si ha col denaro.E non è un segreto che i tedeschi esigeranno che dopo Draghi, la Bce sia guidata da un loro alfiere. Non c'è da fare chissà quali divinazioni per sapere chi potrebbe essere questo alfiere: si tratta appunto dell'attuale presidente della banca centrale tedesca Jens Weidmann.  Un avvicendamento, quello di Weidmann alla Bce, che esprime bene quello che non può essere altrimenti chiamato che come sovranismo tedesco, della volontà di potenza di quella grande borghesia.
Una volontà di potenza che potrebbe addirittura azzoppare l'asse carolingio con la Francia del super-europeista Macron. Alcuni segnali non vanno infatti sottovalutati. Appena eletto Macron si è recato a Berlino, indicando quanto stia a cuore alla cupola bancocratica francese il sodalizio con quello tedesco. Riguardo alle traballanti sorti della Ue Macron ha ribadito alla Merkel quel che aveva detto in campagna elettorale, riassumibile in tre punti: una politica di bilancio europea, un ministro europeo della finanze, la mutualizzazione del debito. La Merkel gli ha sibillinamente risposto: "Ho fiducia in Macron. Egli sa quel che deve fare". Ma poi, chi ha orecchie per intendere intenda, ha aggiunto: "Il sostegno tedesco non può rimpiazzare le riforme che si debbono fare in Francia". Tradotto significa: "la Francia rientri presto nei parametri deficit su Pil, e compia quei tagli radicali alla sua ingente spesa pubblica. Il resto alle calende greche".
Ci è andato ancor più duro proprio il falco Weidmann. Il 25 giugno scorso il numero uno della BundesBank ha rilasciato una dichiarazione al giornale tedesco Welt am Sonntag in cui senza peli sulla lingua dice a Macron che di mutualizzare i debiti dei paesi dell'eurozona non se ne parla nemmeno, ed insiste anzi nel chiedere la fine del Quantitative easing e, come detto dalla Merkel, che Parigi metta a posto il suo bilancio pubblico in forte disavanzo. Ce ne da conto anche LA STAMPA del 26 giugno che titola "Lo schiaffo di Weidmann: nessun regalo a Macron".  Weidmann ha in particolare affermato:
«Una garanzia comune sui debiti pubblici sarebbe la strategia sbagliata, di fronte a sovranità nazionali: questo ingrandirebbe il problema dell'Europa, non lo risolverebbe. Una mutualizzazione comune può avvenire alla fine di un processo che porti a un'unione fiscale, se i diritti nazionali sulle decisioni sostanziali fossero passati a livello europeo. Io però non vedo la disponibilità a fare questo. I Paesi che vogliono la garanzia comune insistono altrettanto sulla sovranità nazionale, come tutti gli altri».
Messaggio chiarissimo: La Germania è disposta a correre in soccorso ai "paesi periferici, solo a patto che cedano (alla Germania, s'intende) gli ultimi scampoli di sovranità statuale e nazionale. 
Chissà se se lo metteranno in testa i tanti sinistrati che invocano "più Europa". Quelli che senza magari volerlo fanno da truppe cammellate al "partito tedesco" della grande borghesia italiana.

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28.6.17

L’INGANNO DELLA SOVRANITÀ EUROPEA: UNA RISPOSTA A TOMASO MONTANARI di Ferdinando Pastore

Tomaso Montanari
Ferdinando Pastore fa parte della direzione di Risorgimento Socialista, come del centro dirigente della Confederazione per la Liberazione Nazionale.

Nell’era del pensiero unico neo-liberista, nella quale appare inverosimile mutare le politiche d’indirizzo economico, presentate alla collettività come necessarie, ineluttabili, dettate dal pilota automatico, si rincorrono, in Italia, tentativi di ricostruzione della sinistra, che di continuo sono progettati mediante appelli alla società civile al fine di attuare la Costituzione italiana.

COSTITUZIONE, SOCIETA’ CIVILE, CORPI INTERMEDI

Già gli appelli alla società civile, entità astratta e non corrispondente ad alcun blocco sociale, sembrano in aperta contraddizione con lo spirito costituzionale, dato che essi si servono delle medesime caratteristiche di spoliticizzazione della società che sono insite nella prassi neo-liberista: il primato dell’economia sulla politica, il mito del privato rispetto al pubblico, la denazionalizzazione della moneta, lo smantellamento dello stato sociale, l’annientamento dei corpi intermedi ormai chiusi in apparati ermetici ma al contempo innocui e congeniali per il mantenimento dello status quo.
Difatti, proprio quando ci si rivolge alla società civile, si lascia intendere che i diritti sociali, ispirati a principi solidali e non mercantilistici,  un tempo protetti dallo Stato, hanno perso la loro funzione politica: quella di dare rappresentanza allo scontro sociale.
Essi sono così sostituiti dagli interessi dei gruppi di pressione, che ancora organizzati in apparati burocratici, in realtà, perseguono fini privati, tendenti al mero profitto economico e trovano terreno fertile nel momento in cui il neo-liberismo ha operato una mutazione sostanziale dell’individuo ormai ridotto a imprenditore di sé stesso e a eterno soggetto desiderante, non più in grado di prendere coscienza delle condizioni di sfruttamento nei rapporti produttivi e di alienazione nella propria condizione esistenziale (1).
Con la conseguenza di silenziare lo scontro sociale e far paventare, continuamente, l’idea che esista una società civile portatrice di istanze omogenee e inter-classiste, che, causa la loro inconsistenza, saranno preordinate dal mercato(2).
Il richiamo alla Costituzione, poi, è ancora più marcato a seguito della vittoria al Referendum Costituzionale  del fronte del No, al cui interno la sinistra ha giocato un ruolo del tutto marginale e ininfluente, soprattutto se si pensa all’incapacità di darne un significato politico in linea di continuità con i risultati della Brexit o del Referendum greco di qualche anno fa. Esso è stato ridotto a semplice contestazione alla figura di Matteo Renzi.
Proprio la sottovalutazione della questione sociale e la tendenza a non identificare i risultati dei referendum come unareazione del basso della società, ormai definitivamente impoverito e ridotto ad assistere inerte allo smantellamento delle sicurezze novecentesche, porta la sinistra a non affrontare il tema centrale legato alla difesa della Costituzione:l’incompatibilità dei Trattati istitutivi della UE con le costituzioni moderne, nate nel dopoguerra, e, se si dà uno sguardo al caso italiano, alla sostanziale sostituzione della Carta del 1948 con i dettami delle strutture sovranazionali.

L’EUROPA, LA COSTITUZIONE E LA PIENA OCCUPAZIONE

Anche nell’ultima assemblea che ha richiamato l’unità della sinistra – quella promossa da Anna Falcone e Tomaso Montanari, nella quale si è riunito il gotha del progressismo liberale –  il tema o è stato accuratamente eluso o chiamato in causa con argomentazioni inverosimili.
Anzi Tomaso Montanari è andato ben oltre, nel momento in cui è riuscito a menzionare il problema UE e contemporaneamente a pubblicizzare un rafforzamento delle strutture con sede a Bruxelles e Francoforte. Il richiamo di Montanari è risultato particolarmente insidioso nel momento in cui ha affermato: “L’Italia è il più autorevole di un grande gruppo di paesi che può e deve chiedere una profonda revisione dei trattati. Mentre da subito bisogna attuare i punti più avanzati dei trattati attuali: per esempio l’articolo 3 del Trattato di Lisbona, che mette tra gli obiettivi dell’Unione la piena occupazione. Per far questo occorre costruire una sovranità europea, una vera politica europea”.
Le omissioni contenute in questo passaggio sono molteplici, perché l’articolo richiamato – oggi  diventato l’art. 2 III comma del Trattato di Lisbona –  in realtà è così strutturato: “L’Unione instaura un mercato interno. Si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e su un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente. Essa promuove il progresso scientifico e tecnologico”. Solo da una semplice prima lettura appare evidente il contrasto tra questa formulazione e quella contenuta nell’art. 4 della Costituzione Italiana che così recita “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”.
Il Trattato di Lisbona, quindi, riconduce la tendenziale piena occupazione, non tra i compiti dello Stato, bensì come conseguenza di un’economia sociale di mercato fortemente competitiva e dalle politiche tese alla stabilità dei prezzi che generano deflazione salariale(3) e perdita dei diritti connessi al lavoro.
La piena occupazione richiamata da Montanari è, in buona sostanza, quella contenuta in un vero e proprio manifesto dell’ordo-liberismo che si pone in netta contraddizione con i principi ispiratori del Costituzionalismo moderno che si basavano su un forte intervento dello Stato per proteggere la collettività dai rischi connessi allo sviluppo capitalistico. Al contrario il riferimento all’economia sociale di mercato rappresenta lo stratagemma, utilizzato in primis dalla Germania, per sancire il principio secondo cui lo stesso individuo assume su di sé gli obiettivi dell’economia di mercato, che in questo senso si socializza (4).
Montanari, quindi, o non conosce i trattati europei o, se li conosce, evita, volontariamente, di spiegarne la natura ideologica, poiché se così facesse, dovrebbe trarre alcune conseguenze logiche.
Per esempio che i Trattati istitutivi dell’Unione Europea sono immodificabili perché strettamente connessi all’ideologia neo-liberista, e proprio l’esistenza di essi impedisce il pieno esercizio della sovranità costituzionale. Appare evidente che la difesa della Costituzione è uno specchietto per le allodole, se posta in termini generici e così fuorvianti.
Se da un lato l’omissione in questione serve per non disturbare i manovratori ed evitare che il dissenso possa avere ricadute di reale opposizione al sistema di dominio neo-liberista e quindi con il proposito di silenziarlo e progettare contenitori politici ossequiosi e docili, dall’altro si nota come la sinistra, nel suo complesso, aderisca, da quando si è allontanata dalla critica sociale d’ispirazione marxista, alle illusioni universalistiche del liberalismo.

LA MUTAZIONE GENETICA DELLA SINISTRA IN ITALIA

 Quest’adesione è avvenuta attraverso due distinti filoni di pensiero. Il primo è quello legato alla mutazione ordo-liberista del PCI, che dalla fine degli anni ’70 fu l’ideatore, insieme alla CGIL, dell’ideologia dell’austerità, attraverso la quale si iniziava a richiedere ai lavoratori sacrifici, per avere come contropartita un’immaginifica e rinnovata capacità produttiva. Processo portato a compimento quando, con l’avvento della seconda Repubblica, il gruppo dirigente post-comunista ha iniziato a recepire, acriticamente, i dettati compilati e imposti dai vincoli esterni contenuti nel Trattato di Maastricht.(5) 
Il secondo è legato alla struttura ideologica della sinistra radicale, che dal movimentismo anarco-liberale del 1968 in poi, ha accettato la supremazia del soggetto come elemento cardine di una politica antagonista. Proprio l’antagonismo è, in questa fase storica, il più grande alleato del capitalismo globale, poiché anch’esso punta allo sfaldamento delle strutture sociali e solidaristiche, al fine di concepire una società parcellizzata e atomistica, supina agli intendimenti del mercato che si deve espandere senza ostacoli(6).
La conseguenza è il comune accordo, tra sinistra e capitalismo globale, nel ridurre al minimo il ruolo dello Stato. Al massimo, secondo le indicazioni ordo-liberiste, esso si trasforma in apparato burocratico guardiano della libera concorrenza, ma privo della capacità di esercitare la piena sovranità.
Non a caso la sinistra ordo-liberista ha provveduto negli ultimi vent’anni alla massiccia campagna di privatizzazioni operata nel nostro Paese, contribuendo al decadimento della sfera pubblica, mentre la sinistra radicale, nell’opporsi alle privatizzazioni, conduce battaglie capziose nel momento in cui utilizza un linguaggio perfettamente accomodante nei confronti delle stesse, quando si riferisce alla difesa di fantomatici “beni comuni”, che si contrapporrebbero a quelli pubblici. Ma i beni o sono privati o sono pubblici, tertium non datur.
La difesa della Costituzione, con queste premesse, è del tutto fittizia. La Carta viene descritta come una bussola ma al contempo si partecipa alla sua distruzione. Per questo Montanari parla di conquistare una sovranità europea, dimentico del fatto che essa è già operante e che viene esercitata dalla UE in maniera repressiva nei confronti di chi non si adegua agli standard previsti proprio dalla forte competizione. 

LA SOVRANITA’ NAZIONALE PER DIFENDERE LA COSTITUZIONE

Vengono a compimento, in maniera definitiva, le profezie di Federico Caffé quando descriveva quella che si potrebbe definire la spirale ordo-liberista nel momento in cui le decisioni prese sulla stabilità dei prezzi diventano incongruenti con gli obiettivi della collettività, ma la stessa stabilità dei prezzi è presa, nuovamente, a modello per ovviare alle contraddizioni economico/sociali dalla stessa provocate.(7)
La sinistra, così per come si configura in Italia, dimostra la propria complicità nei due proponimenti principali dell’ordine neo-liberista: l’annientamento della democrazia e l’abbattimento delle società salariali che, proprio grazie ai partiti socialdemocratici, furono edificate dagli Stati nazionali europei del dopoguerra.
Per questo, oggi, i concetti di Patria, sovranità popolare e Costituzione sono intimamente connessi per operare in netto contrasto con il modello neo-liberista e, inoltre, il recupero della sovranità nazionale appare condizione indispensabile, non solo per il recupero della dimensione democratica e costituzionale, ma anche per immaginare la costruzione di un modello di sviluppo alternativo a quello capitalistico.  
La questione del legame tra opposizione al neo-liberismo e recupero della sovranità nazionale è stata compresa soprattutto da Jean-Luc Mélenchon in Francia, difatti nella campagna presidenziale egli ha proposto una nuova assemblea costituente e, al contempo, l’uscita della Francia dai Trattati qualora non si ovviasse alla loro, radicale, trasformazione.
In Italia, dopo venticinque anni di macelleria sociale e di annientamento del sistema produttivo, tutto ciò viene, allegramente, ignorato, per continuare a proporre liste elettorali, votate ad un ministerialismo nevrotico e che si propongono di unire le due, fantomatiche, sinistre.
NOTE
1 – Particolarmente istruttivo sul punto fu C. Wright Mills quando descrisse la nascita di questi interessi nella società americana del dopoguerra “Il liberalismo, ora quasi un denominatore comune della politica degli Stati Uniti, diventa liberalismo amministrativo, potente struttura statale che avoca a sé un maggior numero di problemi, nel cui interno le lotte politiche aperte si trasformano in procedure per pressioni amministrative” e la loro pericolosità per la tenuta della democrazia americana sin dagli anni ’50 “Ma nello stesso tempo, se il futuro della democrazia americana corre dei rischi, non è a causa di un movimento della classe lavoratrice, ma a causa della sua assenza e perché esso è sostituito da un nuovo sistema di interessi costituiti. Se questi nuovi interessi appaiono spesso particolarmente pericolosi per la struttura sociale democratica, è perché sono così grandi e tuttavia così esitanti.” (C.Wright Mills, Colletti Bianchi, Einaudi Editore, 1974)
2 – La ricaduta ideologica di tale impostazione è l’esaltazione dei diritti universalistici e l’abbandono del criterio che era alla base del Costituzionalismo moderno, quello dell’istituzionalizzazione del conflitto di classe. Il percorso attraverso il quale si è arrivati a tentare di rappresentare interessi omogenei e slegati dalle condizioni socio-economiche e il legame con la teoria neo-liberale e post-moderna è ben descritto da Gaetano Azzariti, in particolare quando afferma “Esclusa la dimensione politica e conflittuale, si teorizza che le nuove costituzioni civili post-moderne e post-nazionali debbano trarre la propria legittimazione da interessi settoriali, prodotte dalle spinte spontanee del mercato e da indeterminate forze che operano entro comunità asettiche. Costituzioni, dunque, necessariamente arrese, che finiranno inevitabilmente per porsi al servizio del potere costituito, operando in accordo con il potere selvaggio del mercato.” (Gaetano Azzariti, Contro il revisionismo costituzionale, Laterza, 2016)
3- Sulla deflazione salariale Sergio Cesaratto su asimmetrie.org 
4- Per uno studio approfondito e di facile fruibilità si rimanda agli scritti di Vladimiro Giacché e di Luciano Barra Caracciolo. Del primo si raccomanda la lettura di Costituzione contro Trattati Europei – Il conflitto inevitabile, Imprimatur, 2015; del secondo La Costituzione nella palude, Imprimatur, 2015. Giacché descrive, inoltre, come il pricipio della stabilità dei prezzi sia presente in altri articoli particolarmente significativi dei Trattati e che sia stata posta come condizione necessaria per poi poter avviare politiche anticicliche. In particolare i riferimenti sono l’art. 119 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea; l’art. 127 dello stesso che si riferisce alla politica monetaria. Il problema della stabilità dei prezzi, strettamente connesso ai limiti imposti per le politiche occupazionali è poi ulteriormente aggravato dall’approvazione in Costituzione della riforma dell’art.81 (cd Pareggio di Bilancio).
5- Sulle politiche, denominate di solidarietà nazionale, del PCI e della CGIL alla fine degli anni 70 e l’adesione degli stessi all’irreversibilità dei vincoli esterni si guardi La scomparsa della sinistra in Europa di Massimo Pivetti (Imprimatur, 2016)
6- La sinistra partecipa alla costruzione di quella che Dardot e Laval hanno definito la “ragione-mondo” neo-liberista “La ragione politica neo-liberale, nel suo stesso principio costitutivo, concentrando la realtà del potere nelle mani degli attori economici più potenti a svantaggio della gran parte dei cittadini, produce insicurezza e disciplina la popolazione, disattiva la democrazia e frammenta la società…una ragione dotata della capacità di estendere e imporre la logica del capitale a tutte le relazioni sociali fino a farne la forma stessa delle nostre vite.” (Dardot-Laval, Guerra alla democrazia-L’offensiva dell’oligarchia neo-liberista, Derive Approdi, 2016)
7- Federico Caffé, In difesa del welfare state – saggi di politica economica, Rosenberg & Sellier, 1986

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25.6.17

Sui nodi della Cln. Un commento da esterno di Alessandro Chiavacci

Domenica 18 si è svolto a Roma il Direttivo nazionale della Confederazione per la Liberazione Nazionale, che è al momento presente, per chi non ne fosse informato, una confederazione fra alcune forze presenti in diverse zone d’ Italia (specie al Centro e al Sud, notava qualcuno).

Essendo stato invitato in qualità di osservatore, insieme ad altri, ho forse la possibilità, non avendo vincoli di appartenenza, di manifestare un commento se non obiettivo, almeno sincero. E questo commento cercherà di concentrarsi sui nodi emersi nella discussione piuttosto che su una narrazione strettamente cronologica dello svolgimento della discussione.

Il primo nodo affrontato è quello della organizzazione della Cln. Franz Altomare, che relaziona sull’argomento è molto, molto interlocutorio. E’ necessaria una organizzazione strutturata, verticistica, con cariche individuate e responsabilità precise, o una organizzazione più flessibile? Le decisioni verranno prese con una maggioranza del 50% o del 60%? Le organizzazioni confederate saranno rappresentate con “una testa, un voto” o con un criterio che tenga conto della rappresentatività effettiva di ogni organizzazione?

Questo modo di presentare il problema dell’organizzazione suscita il mio scandalo, e quando me ne danno la possibilità, provo ad esprimerlo. “L’ Italia è in una crisi drammatica e distruttiva- cito aspetti economici e quello dell’immigrazione di massa- e ancora non si comprende la necessità della creazione di un soggetto politico, di una VOLONTA’ organizzata? Mi sembra preoccupante, soprattutto come sintomo. Questo modo di presentare il problema fa da pendant all’idea di Stefano D’ Andrea e il suo FSI di rimandare la costruzione dell’alternativa ad una imprecisata affermazione elettorale successiva al 2022, o all’idea sostenuta da Ugo Boghetta che il tempo della Cln sia quello successivo alla futura affermazione e successiva sconfitta dei 5 stelle, sono cioè manifestazioni della accettazione della sconfitta presente”. “ Il movimentismo- aggiungo-, cioè l’idea che l’alternativa possa emergere spontaneamente dall’aggregarsi dei movimenti sociali, è una forma di liberalismo, è la versione proletaria di Adam Smith.”

Tuttavia il mio intervento non desta particolare impressione. Comprendo più tardi che il mio intervento era almeno in parte ingeneroso. E’ vero- a mio avviso- che la CLN è indietro nella costruzione di un soggetto e di una VOLONTA’ organizzata, ma questo deriva anche dalla modalità che si è individuata per la crescita dell’organizzazione, che ha privilegiato la costruzione di realtà ben radicate sul territorio piuttosto che una realtà formalmente organizzata ma priva di gambe. “Noi Mediterranei”, il gruppo confederato presente in Sicilia, sembra già un pezzo avanti nel radicamento sul territorio, tanto che alle recenti elezioni comunali, grazie all’esperienza e alle relazioni sociali maturate da Beppe De Santis, leader comunista e sindacale di lungo corso, è riuscito a presentare liste di ispirazione sovranista in molti comuni, ottenendo nella maggior parte dei casi risultati a due cifre.

Almeno su una questione organizzativa c’è però unanime consenso: sul fatto che l’eventuale ammissione di altri eventuali gruppi nella confederazione verrà decisa dagli stessi soggetti già organizzati: avverrà cioè “per cooptazione”, e non sulla base di vaghi manifesti politici ai quali un giorno tutti aderiscono per trovarsi separati il giorno dopo. E’ un caso in cui il “ius sanguinis” mi sembra una valida forma di precauzione...

La seconda questione in discussione è quella della presenza elettorale alle prossime elezioni. Luca Massimo Climati, di Cerveteri Libera, una associazione che è riuscita ad avere un discreto radicamento sociale nella città laziale, propone un lungo manifesto per sostenere la presentazione di una eventuale lista di “Italia Ribelle e Sovrana” alle prossime elezioni politiche. La convinzione di molti, compreso Moreno Pasquinelli, che la fase di espansione del Movimento 5 Stelle si sia conclusa (la mia domanda è se ci fosse bisogno di aspettarla…) spinge molti a convincersi dell’opportunità di presentare una lista, quella di “Italia Ribelle e Sovrana” alle prossime elezioni politiche. “Le idee politiche- dice Beppe De Santis- non possono rimanere solo opzioni teoriche. Hanno bisogno di confrontarsi con la risposta che danno i cittadini”. E le prossime elezioni regionali siciliane, del 5 novembre 2017, alle quali sarà presenta la lista di “Sicilia Ribelle e Sovrana” saranno il test fondamentale per decidere sulla eventualità della presentazione della lista alle elezioni politiche, e la mia impressione è che “Sicilia Ribelle e Sovrana” abbia discrete possibilità di affermazione.


In definitiva stiamo assistendo al formarsi per la prima volta di una formazione politica sovranista e contemporaneamente popolare, grazie alle esperienze di “Noi Mediterranei” in Sicilia, di Luca Massimo Climati a Roma e Cerveteri, alla esperienza nei Comitati per il No al referendum in Umbria e Toscana. Una formazione forse capace, per la prima volta, di parlare alla gente. “Non parleremo astrattamente di Euro, di Unione Europea e di teorie economiche-dice Beppe De Santis- ma faremo comprendere come la lotta per i servizi sociali, per l’occupazione, per il rilancio dell’economia locale sia legata alla necessità di uscita dall’ Euro e dall’ Unione Europea”. Nobile intenzione, mi viene da dire, ma non c’è il pericolo che le intenzioni di base, che sono certamente anti euro e anti unione, si diluiscano nel tentativo di farsi “comprendere dalla gente”? Chi vivrà vedrà.

La discussione prosegue con il terzo punto all’ordine del giorno, quello della vertenza Alitalia, su cui relaziona Fabio Frati, dirigente della Cub Trasporti e protagonista della recente vittoria al referendum sul contratto Alitalia. Dovendomi assentare per motivi personali, non posso relazionare sull’argomento.

Fin qui uno scorcio di cronaca commentata sul Direttivo del 18 giugno. Voglio invece adesso trattare uno dei nodi con cui a mio parere CLN si deve confrontare.


Lega/ Sinistra-Destra

Beppe De Santis ricordava con una certa soddisfazione che Noi con Salvini non aveva avuto successo in Sicilia. A parte che per un partito nato “per l’indipendenza della Padania” prendere il 6% a Lampedusa, dove peraltro l’opposizione alla sindaca immigrazionista e sorosiana era rappresentata da un’altra lista, con ben altro radicamento e successo, non mi sembra un grande fallimento; tuttavia mi sembra che il problema del rapporto con la Lega sia ancora tutto da impostare. Alcuni microgruppi sovranisti, per il momento inesistenti a livello nazionale, quali quello di Marco Mori o il Fronte Sovranista di Stefano D’ Andrea auspicano la scomparsa della Lega, convergendo almeno su questo con Juncker, Renzi e Papa Francesco, illudendosi così che si apra spazio per i “veri sovranisti”, che sarebbero loro. Marco Mori, per esempio, pensa che siano sufficienti un paio di ricette economiche (peraltro discutibili) come “espandere la spesa pubblica finanziata attraverso l’emissione di moneta dalla banca centrale” per fare la “Riscossa Italiana”. Direi che qualcuno non si è ancora misurato con l’esistenza della Legge del Dire e del Fare, quella per cui Fassina, autore di una delle migliori analisi critiche dell’Unione Europea e dell’ Euro, non è nemmeno riuscito a presentare una mozione di minoranza al congresso di Sinistra Italiana.

Il dirigente comunista francese di lungo corso, Gérard Filoche ha recentemente affermato che l’attacco che Macron sta portando al salario “E’ il più grave DELLA STORIA”. In effetti, Macron intende “privatizzare il welfare”, e dunque ridurre il salario indiretto, mettendo qualche euro in più in busta paga e riducendo notevolmente i contributi sociali e previdenziali. In realtà, le conseguenze della elezione di Macron sono molto più gravi. Vuole rilanciare notevolmente la competitività francese, rafforzando l’asse franco-tedesco e dicendo “ciao ciao” alle speranze renziane di un ammorbidimento della politica economica della Ue; spinge per la creazione della Difesa Comune Europea; prepara l’intervento militare in Siria. Al cui segue la domanda: “Allora, monsieur Filoche, perché non avete votato Marine Le Pen al ballottaggio…?

La sinistra francese aveva la possibilità di scegliere fra la candidata “di destra”, il cui programma economico era sostanzialmente uguale a quello di Mélenchon, e il candidato centrista, Macron, con un programma ultraliberista. Non c’è da stupirsi se lo sta realizzando.

In Italia, c’è un paradigma che ormai da un quarto di secolo, impedisce di creare una opposizione efficace alla sinistra neoliberista. Questo è il paradigma “Sì, ma non con la destra”.

Grazie a questo “paradigma” abbiamo ottenuto le seguenti conquiste (le date possono essere imprecise, ma è bene ricordare i fatti perché l’assenza di memoria è un corollario necessario del rifiuto di costituirsi come Soggetto):

1993 Privatizzazione delle banche pubbliche
1995 Riforma Dini delle pensioni
1996: Privatizzazione dell’industria pubblica
1996 Legge Treu e lavoro interinale
1996 Riforma Berlinguer della scuola (autonomia, presidi manager e tutto il resto)
1998, adesione all’Euro
1999, guerra nel Kosovo
2008, riforma Fornero
2012, adesione al Mes (da notare, con l’opposizione della Lega all’unanimità, nessun astenuto e nessun favorevole, e il voto a favore del Pd all’unanimità, nessun contrario nessun astenuto)
2013 adesione al Fiscal Compact, come prima: Lega no all’unanimità, Pd, sì all’unanimità
2013 inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione: Lega e Pd come sopra.

(va però ricordato che la Lega nella persona dell’ on. Calderoli, è stata la prima firmataria della legge per l’applicazione del pareggio di bilancio: coerente con la loro visione liberista, e comunque è diverso dall’inserirlo in Costituzione)
2015 Buona scuola e privatizzazione delle assunzioni nella scuola
2015 Jobs act e precarizzazione di tutto il lavoro
2016 Riforma Madia e privatizzazione di tutte le attività pubbliche “non strategiche”.

Ho sicuramente dimenticato qualcosa, ma quello che mi sento di dire è che ormai chi ancora ragiona con la bussola del “destra-sinistra” va trattato come merita, cioè come un avversario. Che lo faccia perché teme per la sua rispettabilità sociale, perché fa parte di aree di lavoro che si ritengono garantite, perché è situato fra i privilegiati del sottobosco della politica, non importa. Liberarsi di questa gabbia è la prima cosa da fare oggi.

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23.6.17

CLN: L'ADESIONE DI CIVITAVECCHIA

Domenica scorsa, 18 giugno, si è svolta a Roma presso la sede di Risorgimento Socialista, la riunione del Consiglio della Confederazione per la Liberazione Nazionale.
In questa occasione era presente una delegazione del collettivo politico "Arditi del Popolo" di Civitavecchia.
A nome del collettivo è intervenuto Fabrizio De Paoli annunciava la decisione di aderire alla Confederazione.
Qualche giorno dopo gli Arditi del Popolo ufficializzavano questa adesione attraverso una lettera, nella quale tra l'altro si afferma che:
«Condividiamo con la CLN alcuni punti fondamentali: il ripristino della Sovranità Popolare e la consapevolezza che essa può realizzarsi solo insieme a quella statale e nazionale ed esclusivamente tramite l'uscita dall' Eurozona. (... )
Il Collettivo Arditi del Popolo di Civitavecchia si impegna quindi a rendere, in seguito, note le iniziative, gli eventi e i dibattiti di interesse politico/sociale, perché l'azione e la partecipazione popolare  sono la garanzia.
Libertà è partecipazione»
Salutiamo con gioia questo nuova adesione.
 

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Rapina in banca, modello "Intesa" di leonardo Mazzei

Le mani (non invisibili) sulle banche venete

Un euro privato contro 6 miliardi pubblici, come scambio ineguale proprio non fa una piega. Non devono averci messo molto i tecnici del sig. Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, a formulare la loro offerta d'acquisto per Veneto Banca e per la Banca Popolare di Vicenza.

La loro operazione sarà durata, sì e no, un paio d'orette. Lorsignori hanno preso due scatole, nella prima (denominata good bank) hanno messo la polpa - gli sportelli, i depositi, i crediti sicuri; nella seconda (denominata bad bank) hanno accatastato le ossa - i crediti deteriorati, quelli comunque considerati a rischio, le obbligazioni subordinate, i rischi connessi alle azioni legali. Per la prima si sono detti disposti a spendere nientemeno che la bella cifra di un euro. Per la seconda chiedono che lo Stato di euri ne sborsi 6 miliardi.

Naturalmente, di fronte a cotanta generosità, la stampa nazionale è già scattata come un sol uomo a ringraziare la munificenza del Messina: gli si dica subito di sì, che i mercati hanno fretta; si prepari la somma richiesta senza indugio, che si tratta di banche mica di pensionati. E, siccome - vedete le complicazioni della democrazia - per spendere quei soldi ci vuole una legge ad hoc, la si faccia subito, ovviamente per decreto, e che il parlamento esegua e zitto.

Ma al parlamento non solo questo si chiede. Oddio, "chiedere" è un verbo un tantinello inadeguato, perché il sig. Messina non chiede, ordina. E, tra le altre cose, l'ordine è quello di sfornare un'apposita legge per sterilizzare le cause legali, quelle presenti e quelle future.

Ma, signori, non c'era una volta il "mercato"? Secondo la leggenda, che ne dichiarava la sua sacralità, sarebbe stata la sua "mano invisibile" a risolvere tutto per il meglio. In fondo è quel che si dice al disoccupato: sei senza lavoro perché non sei riuscito a trovarne uno, dunque la colpa è tua, devi impegnarti di più e (soprattutto) devi abbassare le tue pretese in salario e diritti. A quel punto la mano invisibile del mercato interverrà ed avrai il tuo reddito, viceversa il "mercato del lavoro" ti punirà e morirai di fame. Ma sarà giusto così, perché «non esistono pasti gratis» (Mario Monti) e bisogna rieducarsi alla «durezza del vivere» (Tommaso Padoa Schioppa).

Ma quel che vale per il disoccupato non vale per le banche. Queste ultime non possono fallire, specie le più grandi, secondo il principio Too big to fail. Principio che evidentemente mostra la totale fallacia dell'ideologia mercatista. Dunque, per dirla alla Woody Allen (ma la frase sembra rubata a Ionesco): «Dio è morto, Marx è morto, ma anche il mercato non si sente tanto bene».

Che l'ideologia mercatista faccia acqua da tutte le parti non può negarlo neppure il Sole 24 Ore, il che è tutto dire. L'editoriale di oggi di Marco Onado ha un titolo che dice quanto basta: «Come dare una mano alla "mano invisibile». Ecco un'ammissione certo più sincera di quanto siano disposti a riconoscere i liberisti di sinistra, per il quale il "mercato" - meglio, i "mercati" - hanno sempre ragione, e chi lo nega è un residuo ottocentesco.

Naturalmente per Onado, lo Stato deve intervenire solo quando ci sono fallimenti di "mercato" che il "mercato" non può correggere. Si tratta in tutta evidenza di una tesi assai interessata, che resta però interessante nella misura in cui ammette che il mercato non è onnipotente, che può fallire, che va corretto. Il che, trattandosi della divinità più adorata degli ultimi decenni, non è davvero poco.

Ma come realizzare la suddetta "correzione"? Per lorsignori la ricetta è nota: pubblicizzando le perdite e salvaguardando i profitti privati. E qui torniamo all'offerta di Intesa Sanpaolo per le banche venete.

Chi ci segue sa quali sono le nostre idee sulla crisi bancaria: le banche vanno sì salvate, onde evitare un pesante disastro per l'intera economia del Paese, ma vanno immediatamente nazionalizzate (leggi qui).

Questa nostra posizione è stata oggetto di diverse critiche, quasi avesse una mera matrice ideologica, o fosse comunque irrealizzabile a causa dei suoi costi per lo Stato. Ebbene, il caso delle banche venete, così come quello precedente di Mps, ci dimostra l'esatto contrario. Nazionalizzare non solo è possibile, è doveroso. E lo è non solo perché soltanto con il controllo pubblico del sistema bancario sarà possibile rilanciare l'economia, ma anche perché in caso contrario il ruolo dello Stato sarebbe solo quello di servitore di giganteschi interessi privati. Certo non è questa una novità, ma non si vede proprio perché si dovrebbe avallare la prosecuzione di questo andazzo, specie dopo il disastro che le banche private hanno prodotto.

Nel caso in questione ci ritroviamo con lo Stato chiamato a sobbarcarsi tutti i costi dell'impresa. E, contrariamente a quel che si vorrebbe far credere, la proposta di Intesa Sanpaolo va addirittura oltre al modello spagnolo con il quale, nei giorni scorsi, il Banco Santander si è fagocitato il Banco Popular. Il modello non è lo stesso perché il Santander si è perlomeno accollato l'onere della ricapitalizzazione, esattamente quello che invece il sig. Messina si è premurato di escludere tassativamente, chiedendo - meglio: ordinando - che a tal fine provveda lo Stato.

Bene, cioè malissimo, abbiamo già visto come Intesa Sanpaolo voglia portarsi a casa le banche venete - conquistando così una posizione di grande privilegio nel Nord-Est - all'esoso prezzo di un euro. Ora la domanda è questa: se l'operazione andrà davvero in porto, saremo di fronte ad una valutazione equa oppure davanti ad un'incredibile regalia? Se nel secondo caso dovrebbe esservi lavoro anche per la magistratura (ma su questo non ci illudiamo proprio), in un caso come nell'altro perché non nazionalizzare le due banche? Perché sborsare 6 miliardi per ripianare il passivo, per poi risparmiarne uno (di euri non di miliardi) per non nazionalizzarle?

E' da notare che l'offerta di Intesa non tutela neppure i risparmiatori, visto che il destino dei possessori di obbligazioni subordinate, appare destinato a restare alquanto incerto. Ancora meno tutela l'occupazione, visto che dei circa 10mila lavoratori attuali cinquemila dovranno andare a casa.

E allora, perché non nazionalizzare?
Domanda retorica, dato che in realtà la risposta è nota: perché comandano le grandi oligarchie finanziarie, perché il credo mercatista resta lì a dispetto dei suoi fallimenti, perché è su questo dogma che è stata edificata la schifosissima Unione Europea. Che pretende di dettar legge su tutto, ma sulle banche ancor di più.

Tuttavia, i fatti restano. Ed hanno la testa dura, anche se non come quella di chi ancora crede nel "mercato".

E i fatti di cui ci stiamo occupando gridano davvero vendetta. Il regalo al sig. Messina ed ai suoi azionisti è ributtante. La proposta di Intesa Sanpaolo non è una "offerta", è una rapina bella e buona. Ancor più grave se legalizzata con legge dello Stato. Vedremo se alla fine tutto ciò andrà in porto, ma il fatto che a questo punto si sia arrivati è la conferma più lampante di quanto la nazionalizzazione del sistema bancario sia necessaria quanto urgente.

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