Chi pensava che più in basso della generazione Millennial non si potesse andare, si sbagliava.
«Prosciuga il cervello»
Lo smartphone ai ragazzi divide gli accademici
di Costanza Rizzacasa D’Orsogna
«Uno studio interdisciplinare delle Università del Texas, New Jersey e San Diego su 800 studenti di età media 21 anni conferma il punto di non ritorno. Si chiama brain drain, letteralmente «prosciugamento del cervello».
È ciò che accade al nostro per la sola presenza dello smartphone. Anche se lo teniamo spento, anche se è in un’altra stanza. Già il solo possederlo riduce le nostre capacità cerebrali. Perché è oggetto dei nostri pensieri.
L’età del campione è importante, e non a caso allo studio ha collaborato anche uno scienziato della Disney. Sappiamo che il cervello si evolve, e le diverse aree corticali maturano a età differenti. Ad esempio le cortecce prefrontale e frontale, legate alla razionalità, alle cognizioni, alle funzioni sociali e al linguaggio, maturano attorno ai 25 anni.
Di giovani e giovanissimi si occupa anche la psicologa Jean Twenge nel nuovo libro iGen, in uscita negli Usa in questi giorni. iGen, ovvero la generazione dell’iPhone, l’altro appellativo della Generation Z.
I nati tra il 1995 e il 2012, che non ricordano un tempo senza internet, dodicenni all’uscita dello smartphone Apple (2007), che 3 iGen americani su 4 oggi possiedono. E, certo, anche i Millennial sono cresciuti con il web, ma non era così onnipresente nelle loro vite, non ce l’avevano in tasca.
In un capitolo anticipato dall’«Atlantic», Twenge sostiene che i post-Millennial, più a loro agio online che nella vita reale, sono sull’orlo del più grave esaurimento degli ultimi decenni.
«L’avvento dello smartphone – scrive – ha modificato ogni aspetto della vita dei teenager, e li sta uccidendo».
A prima vista si direbbe il contrario. Rispetto alle generazioni passate, la vita degli iGen è molto più sicura. Non fumano, non bevono, non fanno uso di droghe, molti non hanno neanche la patente. E però dal 2011, nota Twenge, i tassi di depressione e suicidio nei teenager si sono moltiplicati.
Prendete le interazioni sociali. Il numero di adolescenti che si vede con gli amici quasi tutti i giorni è crollato, tra il 2000 e il 2015, di oltre il 40%. Anche i primi appuntamenti diminuiscono: nel 2015, interessavano il 56% dei 17-18enni, contro l’85% di Baby Boomer e Gen X.
Il risultato è un crollo dell’attività sessuale (in parte una buona notizia, perché le gravidanze in età adolescenziale sono scese del 67% rispetto al picco del 1991). Ma il sesso, nei maschi, è rimpiazzato dalla pornografia online. Già nel 2015 ne guardavano due ore a settimana e per Philip Zimbardo, psicologo di Stanford che da anni studia le conseguenze di videogame e porno online, ne sono drogati.
«La crisi della mascolinità, l’assenza dei padri, il confronto coi successi delle coetanee – diceva Zimbardo qualche anno fa al “Corriere della Sera” – spingono i teenager a rifugiarsi nel cyberspazio, cercando lì le sicurezze e le conferme che non trovano altrove».
Il risultato?
Da un lato aspettative non realistiche negli incontri reali, ma anche il rifiuto di questi ultimi per paura di non piacere.
Ma gli adolescenti lavorano anche molto meno delle generazioni precedenti. Negli anni Settanta il 77% dei diplomandi americani aveva un lavoro part-time: nel 2015 solo il 55%. Per le migliori condizioni economiche delle famiglie, certo, e perché molti di quei lavori, come il commesso da Blockbuster, non esistono più. Ma lavorare voleva dire indipendenza, comprarsi la macchina. Invece uno studio del Pew Research, due anni fa, evidenziava l’infrangersi di un mito, immortalato da Happy Days a Beverly Hills 90210: il lavoretto estivo. Oggi ce l’ha meno di un terzo dei teenager, e l’oggetto più desiderato non è l’auto, ma lo smartphone.
È lo smartphone a segnare il passaggio alla maturità, che per Google arriva già a 13 anni. Maggiorenni per navigare da soli: la patente, oggi, è quella di internet. Gli iGen, quindi, hanno molto più tempo libero delle generazioni precedenti. E lo passano da soli, sullo smartphone, spesso infelicissimi. A confessarlo sono proprio loro.
Secondo l’annuale indagine Monitoring the Future, i 13-14enni che trascorrono 10 o più ore a settimana sui social hanno il 56% di probabilità in più di dirsi «giù». Al contrario, se passano più tempo della media con gli amici, le probabilità sono il 20% in meno. La solitudine è ai massimi storici, aumenta il rischio di depressione: del 27% nei 13-14enni che fanno grande uso dei social, mentre diminuisce in chi fa sport. I social riflettono la popolarità dei ragazzini, e, per i loro parametri, il loro valore. Si moltiplicano sindromi come Fomo (Fear of missing out, la paura di essere esclusi).
E se da tempo gli esperti di salute mentale denunciano il legame tossico tra like e autostima, un nuovo studio della Royal Society for Public Health britannica dice che è Instagram l’app più pericolosa, perché più di tutte scatena l’inadeguatezza. E poi il sonno. Meno di 7 ore a notte per gli adolescenti che passano 3 o più ore al giorno sullo smartphone, contro le nove raccomandate a quell’età. Nel 2015 il 57% in più soffriva di carenza di sonno rispetto al 1991. Fin qui la Twenge, la cui tesi ha scatenato anche polemiche.
«Basta col panico morale a ogni innovazione. Era accaduto già nel Settecento – scrive sul “Guardian” Catherine Lumby, docente all’australiana Macquerie University – con l’avvento del romanzo e negli anni Cinquanta con il rock&roll. I teenager non dovrebbero passare la vita su uno schermo, ma prima di lagnarcene dovremmo essere noi genitori a smettere di farlo».
Altri invece, mentre sottolineano l’insufficienza di dati clinici per parlare di grave crisi mentale, concordano su quanto lo smartphone modifichi i processi neurologici.
«Dire che gli smartphone abbiano distrutto una generazione è esagerato – spiega a “la Lettura” David Greenfield, fondatore già negli anni Novanta del Center for Internet and Technology Addiction – ma le conseguenze dell’abuso sono inequivocabili. Ciò che mi preoccupa di più è la distrazione. Il lobo frontale negli adolescenti non è ancora sviluppato, sono più impulsivi e meno coscienti del rischio. Le probabilità di un incidente stradale sono perciò 6-7 volte maggiori».
Greenfield, che ha creato una scala per misurare la dipendenza da smartphone, nota che anche l’etica del lavoro, negli iGen, è diversa:
«Sono così abituati alla gratificazione immediata dello smartphone che la loro soglia di tolleranza è molto più bassa».
Più allarmante ancora, o meno a seconda dei punti di vista, potrebbe essere la correlazione tra smartphone e droghe. Secondo il National Institute on Drug Abuse, nel 2016 l’uso di droghe illegali tra teenagers è sceso ai minimi dal 1975, e gli scienziati si chiedono se non sia perché sono costantemente stimolati dagli smartphone, che come le droghe agiscono sui livelli di dopamina. Greenfield ne è convinto.
«In pratica, con lo smartphone, negli ultimi 10 anni i ragazzini si sono portati in giro una pompa di dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito della ricompensa. È così con le notifiche, che controlliamo in continuazione, ed è il motivo per cui definiamo lo smartphone la più piccola slot machine al mondo»
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