ELEZIONI 2018: LA PROPOSTA DELLA C.L.N.

6.5.17

Presentazione della CLN - il discorso di Ferdinando Pastore

Quello che segue è il discorsodi presentazione della CLN di Ferdinando Pastore all'Assemblea pubblica del 25 aprile.
Avevamo già pubblicato il discorso d'apertura dei lavori di Moreno Pasquinelli e l'introduzione di Ugo Boghetta alla tavola rotonda pomeridiana.


«La Confederazione per la Liberazione Nazionale nasce dalla volontà di alcune forze politiche che si sono ritrovate nell’analisi sullo sviluppo della società contemporanea, sulle isitituzioni politiche sovranazionali e sullo sviluppo del capitalismo nella sua forma finanziaria e globale. Seppur con sensibilità differenti Risorgimento Socialista, Programma 101, Indipendenza e Costituzione e Noi Mediterranei con il contributo di ulteriori associazioni e partiti, hanno condiviso alcuni interrogativi le cui risposte chiariscono lo stato attuale della dialettica politica.

Perchè nella contrapposizione politica non si fa più riferimento ad una classe dominante e a una sfruttata o non è più possibile parlare di conflitto tra capitale e lavoro? In che modo si è arrivati a derubricare il pensiero critico a conservatorismo novecentesco? Quali sono stati i passaggi con cui si è giunti a concepire l’esistenza di un unico modello ideologico – anche se fatto passare come neutro e oggettivo – che vorrebbe eliminare lo scontro politico e le protezioni sociali?

In questa sede, per ragioni di tempo, è superfluo raccontare l’evoluzione storica dell’ideologia ordo-liberista. Più importante concentrarsi sulle conseguenze disastrose che essa ha arrecato a tutti i soggetti sociali e sulla natura dell’apparato posto a difesa del suo sviluppo: l’Unione Europea.

Essa, infatti, è stata concepita come struttura repressiva, totalitaria (vorrebbe mantenere una posticcia contrapposizione tra destra e sinistra che diventano entrambe megafoni dello sviluppo liberista), oligarchica che agisce per tutelare esclusivamente la concorrenza economica. Inoltre, dal trattato di Maastricht in poi, si è dotata di un apparato istituzionale, che sovrasta quello degli Stati nazionali, privo di legittimazione democratica e popolare e che ha imposto l’avanzata, senza freni, del libero mercato globale.

Questo apparato esiste perché a differenza del liberismo classico, l’ordo-liberismo non è semplice laissez-faire, non concepisce uno Stato minimo, bensì lo Stato diventa il guardiano della libera concorrenza e interviene, a livello burocratico, per imporre il liberismo come unica cura immaginabile dalle malattie sociali generate dallo stesso capitalismo, ma solo al fine di estendere il più possibile la libera circolazione di merci, capitali e persone e quindi, in una paradossale spirale, generare ancora più malattie.

Tutti i soggetti sociali vengono giudicati, dall’apparato tecnocratico della UE, secondo i canoni della concorrenza.

- Lo Stato nazionale, al quale è sottratta la sfera decisionale e che non ha più una legittimazione derivante dalla sovranità popolare ma si trasforma in protettorato obbediente alle direttive, presentate sempre come “neutrali”, “oggettive”, “necessarie”, poste a protezione degli interessi facenti capo alle grandi multinazionali e finalizzate all’espansione illimitata del capitale finanziario

- La politica, che insieme a tutti i corpi intermedi (partiti, sindacati) è svuotata di significato e che si configura come mera competizione elettorale vuota e impolitica e si riduce a società dello spettacolo. La sua azione è limitata alla gestione amministrativa e il dibattito è immiserito a quello che Gramsci avrebbe definito “chiacchiericcio carnevalesco”

- I soggetti economici che non devono più aumentare la produzione e che perdono la funzione sociale prevista dalla Costituzione ma che devono concentrarsi sul guadagno da portare agli azionisti con conseguenti sconvolgimenti dal punto di vista sociale: de-localizzazioni, compressione dei salari, disoccupazione, precarizzazione del lavoro.

- E infine, secondo la più grande utopia liberista l’essere umano che ha il dovere di concepirsi come imprenditore di sé stesso e come eterno soggetto desiderante. Si indica che valori sociali come la libertà, la giustizia, l’eguaglianza sono raggiungibili esclusivamente attreverso la liberazione del soggetto, slegato dal contesto sociale e dalle contraddizioni socio-economiche o dal cappio dei doveri di solidarietà. Questa visione, cara anche alla sinistra cosiddetta radicale (quella anarco/libertaria) risulta perfettamente compatibile con il darwinismo sociale proposto dal sistema neo-liberale. Esso, difatti, prevede l’istituzionalizzazione dell’uomo/impresa, il quale, da solo, dovrà fronteggiare i rischi connessi al sistema capitalistico, un tempo protetti dallo Stato. Solo la proprietà è terreno sovrano, tutte le altre sovranità scompaiono e per proteggere la proprietà anche il corpo, le capacità intellettive, le passioni, insomma l’essere umano nella sua interezza diventa merce che deve essere appetibile sia per il lavoro che per la vetrina edonistica della società composta da individui. L’uomo deve assecondare tutti i falsi bisogni dettati dal mercato che rappresentano le nuove pressioni sociali (non più identificabili nelle vecchie categorie storiche Dio, Patria, Famiglia) e che lo vorrebbero perennemente alla ricerca di una fatua libertà indipendente da legami, mobile e senza radici, flessibile. Tutte caratteristiche che lo rendono docile e sottomesso agli intendimenti del capitale.

In questo modo il cittadino si trasforma in semplice consumatore e asseconda la trasformazione di tutti gli aspetti dell’esistenza in merce e per ambire al consumo partecipa, attivamente, al sistema di dominio ordo-liberista incentrato sul debito e si consegna allo sfruttamento volontariamente.

I bisogni non devono più essere soddisfatti dal salario ma dal ricorso al credito e volontariamente, appunto, indica gusti, predisposizioni, inclinazioni nella rete telematica, nei social, nelle vetrine edonstiche contemporanee. In questo modo perde coscienza del proprio sfruttamento che ormai investe, non solo il rapporto produttivo, ma l’intera esistenza. Si convince che la confusione tra tempo libero e lavoro è in perfetta sintonia con l’idea utopistica dell’uomo nuovo, costruito dai mezzi di comunicazione, dalla pubblicità, dal merketing aziendale, perennemente alla ricerca della felicità sconnessa dalla proprie condizioni materiali e con conseguente colpevolizzazione dello stesso qualora esso non sia performante come le nuove pressioni sociali richiedono.

Per questo il grande capitale e la UE distruggono i diritti sociali e al contempo promuovono i diritti civili. Le stesse aziende multinazionali anche se sfruttano il lavoro nei paesi poveri ricevono bollini di affidabilità qualora diffondano campagne sul rispetto dei diritti civili, che si trasformano da elementi di coesione sociale a spot per esaltare l’uomo/atomo pronto al consumo e alla egoistica promozione di sé.

Proprio sull’essere umano si è costruito il dominio del pensiero unico neo-liberista che distrugge tutte le forme comunitarie: lo Stato descritto come apparato dedito allo spreco e che non può creare denaro né operare, al fine di proteggere i diritti sociali e un welfare sviluppato, con spesa pubblica in deficit e a cui è stata, di conseguenza, tolta la legittimazione a decidere. La Politica e i partiti, non più elementi nei quali sviluppare un libero dibattito sulle idee e non più luoghi di rappresentazione degli interessi sociali. I sindacati che non devono difendere il lavoro collettivo, il quale dovrà essere contrattato singolarmente dal lavoratore senza vincoli di solidarietà. Il lavoro che non deve essere tutelato dallo Stato come diritto collettivo ma che deve trasformarsi in concessione elargita filantropicamente dal grande capitale e in opportunità da prendere a qualsiasi costo. La famiglia che non può trasmettere valori non mercantilistici e che nella sua disgregazione porta l’essere umano a non preoccuparsi più del concetto costituzionale della dignità sociale.

Ora tutta questa costruzione è in netto contrasto con la nostra Costituzione che ebbe la sua genesi nel solco del Costituzionalismo moderno che ricondusse le origini del fascismo e della distruzione europea provocata dalle guerre proprio al dominio liberista dell’inizio del 900, periodo assimilabile a quello contemporaneo. Per questo la nostra Carta non fu una replica delle costituzioni liberali ma venne concepita, seppur con tutte le mediazioni possibili nel seno dell’Assemblea Costituente, secondo due direttive precise: la dignità sociale della persona e la concezione per cui lo Stato era organo regolatore del conflitto tra capitale e lavoro e in questo modo istituzionalizzò la lotta di classe e la pose al centro dell’ordinamento. Dimostrazione più puntuale fu la redazione dell’articolo 3 II comma, partorito dal socialista Lelio Basso, con cui si regolavano i compiti dello Stato per la concreta attuazione dell’eguaglianza meramente formale enunciata nel comma I.

Ebbene l’ordo-liberismo e i trattati istitutivi della UE si ispirano a principi, quelli della concorrenza economica e della stabilità dei prezzi, che sono in netto contrasto con la nostra Costituzione, in quanto essa riconosceva valori e ambiti di azione dello Stato non riconducibili al sistema mercantilistico. Per questo la UE e i suoi protettorati nazionali vogliono annientare le costituzioni del dopoguerra, come quella italiana definita “troppo socialista”. Nello specifico l’attacco, dal trattato di Maastricht in poi è stato portato contemporaneamente su due diversi fronti: la forma democratica e la sua caratterizzazione parlamentare attraverso la quale le masse popolari entrarono dentro lo Stato e il modello sociale europeo, costruito dalle nazioni sovrane del dopoguerra, dove il lavoro, il salario, la casa, il welfare rappresentavano beni sganciati dall’economia di mercato in quelle che Robert Castel ha definito le “società salariali”. Economia di mercato che oggi, al contrario, vuole regnare libera e senza controlli. A questo proposito Rino Formica, ex ministro socialista ha affermato che le direttive della UE in contrasto con la prima parte della nostra Costituzione sarebbero dovute essere sottoposte, qualora avessimo avuto una classe dirigente degna di questo nome e fedele alla nostra Repubblica, a referendum costituzionale. Ciò dimostra la svendita di sovranità a cui è stato sottoposto il nostro Paese.

Il consolidamento del sistema ordo-liberista, con ricette sempre improntate all’austerità e al raggiungimento del pareggio di bilancio, ha fatto emergere diseguaglianze sempre maggiori e una contrappsozione tra due blocchi sociali che non sono più configurabili all’interno dello schema politico classico che vede la separazione tra destra e sinistra. In realtà quello che emerge è una nuova contrapposizione tra alto e basso.

L’alto della società non si presenta come una nuova borghesia, non ne incarna valori e aspirazioni, bensì ha una concezione dei rapporti di forza come se si trattasse di una nuova aristocrazia che è contemporaneamente anti/borghese (rifiuta le dinamiche della democrazia liberale e la dialettica con il lavoro) e anti/sociale (non concepisce l’esistenza di una società con valori comunitari e non mercantili), ma è aristocrazia con coscienza di classe e che sfrutta la globalizzazione dei mercati per togliere all’essere umano dignità e sicurezze. Per cui fenomeni come appunto la globalizzazione, l’immigrazione incontrollata, la finanziarizzazione dell’economia sono eventi non naturali ma bensì frutto di precise e coerenti scelte politiche, che portano vantaggi escusivamente al capitale trans-nazionale.

Il basso, al contrario, costretto a rimanere inchiodato al territorio che, con l’abbattimento delle sovranità costituzionali, nazionali e popolari, non ha più rappresentanza politica, ritorna a pensare che l’impoverimento è condizione fatalistica e immodificabile, se non attraverso un riscatto individuale. Di conseguenza, attraverso la spoliticizzazione della società, ha una confusa reazione dato che divide i voti tra una destra protezionistica che però non sembra in grado di creare egemonia e una nuova, ma ancora debole, sinistra popolare, ancora troppo incerta nel prendere le distanze da un’idea di internazionalismo che viene confuso con il cosmopolitismo di origine borghese. La composizione di questo basso, oggi composto da varie realtà sociali – salariati, disoccupati e precari, agricoltori, liberi professionisti senza professioni, piccoli e medi imprenditori – ha una reazione ancora non rappresentata da un blocco politico coerente e con orizzionti egemonici, ma esce allo scoperto soprattutto quando è sottoposto ad una scelta chiara. Per questo tutti in tutti i referendum, da quello greco alla Brexit per finire a quello italiano sulla riforma costituzionale, svoltisi negli ultimi anni, il basso ha avuto la capacità di sconfiggere i proponimenti delle élite, mentre nelle elezioni non ha ancora la possibilità di trovare uno sbocco politico.

Proprio le élite tecnocratiche presentano tutti i movimenti espressione del basso come populisti, senza distinguere tra quelli della sinistra popolare e quelli della destra protezionistica. Ma questa denominazione è frutto di una mistificazione della realtà. Il termine non è utilizzato riferendosi a un populismo storico e sociale, bensì si cerca di stigmatizzare i nascenti campi di opposizione al sistema assimilandoli a un populismo di tipo sud-americano, nel quale il capo saltava le forme della demcrazia borghese per arrivare a un rapporto diretto con il popolo. Ma in realtà è proprio la tecnocrazia, con il suo TINA, che riduce la politica a mera forma impolitica e a competizione imperniata sulle regole della società dello spettacolo, nella quale si presentano al pubblico consumatore pacchetti preconfezionati con forme, appunto del tutto populiste e prive di un rapporto organico con i corpi intermedi (primarie, parlamentarie, sondaggi sono gli strumenti propedeutici alla de-politicizzazione della società).

Per questo i movimenti che ambiscono al ripristino della piena sovranità costituzionale, contemporaneamente, sono costretti a richiamarsi al popolo, in quanto gli strumenti della democrazia rappresentativa sono stati svuotati di significato.

Questa posizione, quella di un costituzionalismo radicale, non può essere, però, per avere capacità egemonica, essere relegata a un semplice antagonismo o a una presa di coscienza solo contestativa. Essa deve avere l’ardire di unire quel blocco sociale, schiacciato dal predominio dei mercati liberi e globali, ancora disomogeneo, e portarlo dentro lo Stato per una nuova gestione della cosa pubblica.

Quest’assemblea ha avuto la chiarezza di rappresentare quel blocco sociale, dai lavoratori dell’Alitalia reduci dal vittorioso referendum , agli agricoltori oppressi dalle multinazionali e per finire anche alle categorie dei commercianti che lottano contro le liberalizzazioni.

Le elezioni francesi hanno dimostrato, attraverso la campagna elettorale di Mélenchon, che quel blocco politico si può formare. In Italia, al contrario, la strada è più ardua in quanto il ceto politico italiano è schiacciato da una sorta di ministerialismo opportunistico con il quale si abdica alla rappresentazione di interessi sociali per cercare di salvaguardare la propria carriera politica.

Ciò a cui aspira la CLN è l’apertura di una nuova stagione politica nella quale a tutti si richiede coraggio».


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