Andrà davvero in porto l'ennesimo raggiro sulla legge elettorale congegnato dalla collaudata coppia formata dal Buffone di Arcore e dal Bomba di Rignano?
Al momento non lo sappiamo. A giudicare dallo schieramento che si è pronunciato a favore del Rosatellum 2 (Pd,
Forza Italia, Ap e Lega) non dovrebbero esserci incertezze. A leggere
invece le cronache di questi giorni qualche dubbio appare assai fondato.
Non solo Renzi è più prudente del solito, ma i gruppi parlamentari del
Pd sembrano divisi sia per motivi politici che per i diversi interessi
di tanti deputati e senatori.
Certo, se il
quartetto di cui sopra fallisse, a dispetto dei numeri di cui dispone,
saremmo di fronte all'ennesimo sputtanamento di una classe dirigente che
in materia detiene già molti record. Ma questo lo sapremo solo nelle
prossime settimane.
Intanto cerchiamo
di capire tre cose: come funzionerebbe la nuova legge qualora venisse
approvata, quali scenari disegna, quale accordo politico la sostiene.
Rosatellum 2: al peggio non c'è limite
Da anni ormai, ogni
nuova proposta di legge elettorale ha l'indubitabile pregio di far
rimpiangere quella precedente. La fantasia truffaldina di certi
personaggi, cui i partiti di regime delegano i lavori più sporchi, non
ha davvero limiti. Il Rosatellum 2 non fa certo eccezione, anzi!
Con questa legge il
36% dei deputati e dei senatori viene scelto in collegi uninominali
all'inglese, dove chi vince piglia tutto. Agli altri nulla resta,
neppure lo scorporo parziale che c'era col Mattarellum.
Il restante 64% dei seggi viene attribuito in collegi plurinominali
(circa un centinaio, ma ancora da disegnare). Per l'ammissione alla
ripartizione dei seggi le liste devono superare il 3% a livello
nazionale.
Un altro aspetto da segnalare —qui i maneggioni che hanno elaborato la proposta si sono ispirati al Tedeschellum abortito
in aula a giugno— è che non c'è voto disgiunto tra quota maggioritaria e
quota proporzionale. Al contrario, sarà il voto nel collegio
uninominale (maggioritario) a trainare quello proporzionale. Qui il
vantaggio delle forze sistemiche (Pd e destra) è del tutto evidente.
Ancor più lampante la volontà di colpire M5S, che nei collegi
uninominali avrà inevitabilmente candidati meno conosciuti.
Infine, dopo tanti
discorsi sulle preferenze, dopo gli stessi pronunciamenti della Corte
Costituzionale, si torna alle liste interamente bloccate. Qui la
giustificazione è che gli elettori potranno almeno scegliere un terzo
dei parlamentari nei collegi uninominali. Il che è totalmente falso,
perché se io voglio votare il partito x, sarò inevitabilmente costretto a
votare il candidato y che lo rappresenta nel mio collegio, dunque
niente a che vedere con le preferenze.
Una legge su-misura per i soliti noti
Belli i tempi in cui si parlava di leggi ad personam!
Qui siamo ormai a leggi pensate su-misura per avvantaggiare alcuni
partiti, danneggiandone altri. Di più, siamo di fronte ad una proposta
di legge che mira a predeterminare con millimetrica precisione la futura
maggioranza di governo. Uno schiaffo alle più basilari regole
democratiche che grida davvero vendetta.
Come abbiamo già
visto, il vantaggio di Pd e destra è dato dai collegi uninominali e
dalla soglia del 10%. Per accettare i collegi uninominali la destra ha
preteso (ottenendolo) il ripristino delle coalizioni, senza le quali
sarebbe stata tagliata fuori.
Del danno ai pentastellati si è detto. Sia chiaro, con il profilo neo-democristiano scelto, con la candidatura di Di Maio l'insipido,
M5S ci ha messo molto del suo per autoescludersi a priori dalla partita
per il governo del Paese. Ma questo non cancella la gravità di una
legge pensata innanzitutto in funzione M5S. C'è però un'altra area
politica volutamente colpita da questa legge. Si tratta dell'area
Mdp-Pisapia-Sinistra Italiana, un raggruppamento che non raggiungendo il
10% non avrà i privilegi delle coalizioni riconosciute.
Ai danneggiati da questa orrenda legge bisognerebbe però ricordare il detto secondo cui chi è causa del suo mal pianga se stesso.
E sia M5S, che il blocco dei sinistrati di cui sopra, hanno le loro
colpe. Quella di non aver mai veramente sostenuto il sistema
proporzionale come l'unico democratico, quella di essersi esercitati
anzi con proposte ultra-maggioritarie i bersaniani (con il loro Mattarelum peggiorato), e con disegni comunque truffaldini M5S (il modello spagnolo).
Così, oggi che il duo Renzi-Berlusconi vuole colpirli entrambi, possono
sì lamentarsi del danno che andrebbero a subire, ma non possono certo
rivendicare una cristallina posizione democratica.
Il patto Renzi-Berlusconi (e il loro dialogo immaginario)
Se stabilire chi guadagna e chi perde col meccanismo truffaldino del Rosatellum 2 è cosa da ragazzi, vediamo ora qual è la coalizione di governo per cui è stato pensato.
Se la coalizione
elettorale più avvantaggiata è certamente quella della destra, è però
all'alleanza post-elettorale che hanno guardato in primo luogo i suoi
ideatori. E la spiegazione di tutto sta nel patto Renzi-Berlusconi. Chi
scrive —sbagliando— pensava che Renzi non avrebbe mai concesso il
ritorno alle coalizioni sulla scheda elettorale, questo per il banale
motivo che il Pd una vera coalizione di forze alleate non ce l'ha.
Dunque, perché suicidarsi?
Questo perché? Hanno avuto forse qualche scrupolo democratico? Scordatevelo. Semplicemente, il Bomba vuol tornare ad ogni costo a Palazzo Chigi. E non è un segreto per nessuno che possa farlo solo con un accordo con il Buffone di
Arcore. Fin qui siamo alla fondamentale scoperta dell'acqua calda.
C'era però un problema. Con la legge attuale —uscita dalle sentenze
della Consulta— la maggioranza in parlamento Pd e Forza Italia
l'avrebbero vista solo con un potente cannocchiale. D'accordo imbarcare
gli alfaniani, che stanno al mondo solo per quello, ma coi voti che
hanno non sarebbero mai stati sufficienti. Imbarcare allora Mdp e soci?
In linea generale nessun ostacolo, se non fosse per il niet a Renzi. Un dettaglio non proprio trascurabile, specie se visto da Rignano sull'Arno.
Ecco allora il Rosatellum 2.
In fondo non è difficile immaginare il dialogo che dev'essersi svolto
tra i due. Armiamoci anche noi di un po' di fantasia (ne basta sempre
meno che per congegnare l'obbrobrio della legge elettorale di cui ci
stiamo occupando), e capiremo meglio i come e i perché dell'accordo
trovato.
Renzi. Guarda Silvio che non abbiamo i numeri per farcela. Bisogna ritornare ad un sistema più maggioritario.
Berlusconi. Lo so Matteo, ma non penserai mica di fregarmi con un nuovo Italicum?
R. No, non ti voglio fregare, voglio Palazzo Chigi e tu avrai quel che ti serve, per Mediaset e non solo.
B. Allora c'è un solo modo: devi ridarmi le coalizioni.
R. Ma così sei tu che mi freghi. Io dove ce l'ho una coalizione?
B. Tranquillo,
qualcosa ti inventi. Alfano, per esempio, te lo lascio. Ma poi, mica
dobbiamo fare delle vere coalizioni! A me serve solo un taxi per i
collegi uninominali. Poi dopo il voto scendo e vengo da te.
R. E chi mi assicura che scendi? Come glielo spieghi ai tuoi?
B. Semplice:
studiamo un meccanismo dove noi due insieme avremo la maggioranza di
sicuro, ma senza che nessuna coalizione possa vincere da sola.
R. E come facciamo ad essere così sicuri? Col maggioritario tutto può succedere.
B. Non
essere ingenuo. Basta scegliere la giusta dose di maggioritario. Ne ho
parlato con Verdini, la formula c'è. Tu parlane coi tuoi, che quando si
tratta di imbrogliare non sono secondi a nessuno.
R. Va
bene, ma non voglio scherzi. Di te mi fido, ma tra i miei ce n'è più
d'uno che mi infinocchierebbe volentieri. E dietro hanno forze
potenti... Quelli immaginano una nuova coalizione di centrosinistra,
nuove primarie, un'idiota come Pisapia tra i piedi. Non so se ti rendi
conto?
B. Certo, certo. Ma li puoi fermare solo prendendo prima tu l'iniziativa.
R. Questo è giusto. Ma già che ci siamo troviamo anche il modo di dare un colpetto a D'Alema e Bersani.
B. A me va bene.
R. Ma come farai con Salvini?
B. Salvini
è un uomo di mondo. Sa che tanto al governo non ci va. Sì, adesso non
parla più dell'euro, sai quanto gliene frega... Ma sa che ai piani alti
non piacerebbe lo stesso. A lui basta fare il pieno nei collegi del
nord. Glielo concederò, poi ognuno per la sua strada.
R. Ma non ti accuseranno di tradimento della coalizione?
B. Tradimento?
E perché. Tradirei se avessimo i voti per governare. Ma quelli non li
avremo. Si imporranno le "larghe intese". Salvini e la Meloni si
sfileranno. Io no: viva l'alleanza tra le forze che in Italia
rappresentano i due maggiori partiti europei!
R. Bene,
accordo fatto. Ma evitiamo di gridarlo ai quattro venti, che poi magari
in parlamento i franchi tiratori non mancheranno. Se andrà male non
dovrà essere colpa nostra.
B. Beh, questo è più difficile, ma possiamo sempre accusarci reciprocamente, che un po' di teatrino non guasta mai.
Conclusioni
Solo fantasia?
Chissà. Ma a me solo immaginando un siffatto dialogo le cose riescono a
quadrarmi. Diversamente non si capirebbe la concessione di Renzi, che
stupido non è, sulle coalizioni. Né si capirebbe lo strano dosaggio tra
proporzionale (64%) e maggioritario (36%).
Ma c'è qualcosa di
più. Ed è che la legge prevede che le singole liste, non le coalizioni,
presentino formalmente un programma elettorale. Ora, se le coalizioni
fossero fatte per reggere —e, nel caso, per governare— tutto ciò non
avrebbe senso. Se invece le coalizioni devono essere solo un taxi
elettorale, meglio una sorta di car pooling applicato alla politica, il senso c'è eccome.
Se la mia tesi è
giusta —ma prima si dovranno superare gli ostacoli parlamentari, di cui
non ci occupiamo in questo articolo— avremmo una situazione
pre-elettorale assai pittoresca.
Certo, il governo
che ne verrà fuori sarà comunque debole. Ma la sua vita dipenderà
innanzitutto dalla nascita di un'opposizione degna di questo nome, altro
che il Salvini ri-berlusconizzato o il Di Maio integralmente
democristianizzato, per non parlare dei sinistrati senza idee e senza
consensi.
In ogni caso, tornando alla legge elettorale, tra tante incertezze che rimangono una cosa è certa: dietro il Rosatellum 2 c'è il patto di ferro tra il Bomba di Rignano ed il Buffone di Arcore. Ogni altra ipotesi è destituita di fondamento.
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