La relazione introduttiva sulla situazione sociale e politica italiana di Leonardo Mazzei (al centro nella foto).
1. Il dopo 4 dicembre: un sistema politico in panne
2. Come l'oligarchia cercherà di mantenere il controllo
3. Breve parentesi sulla legge elettorale: due possibilità
4. Il quadro post-elettorale
5. Conclusioni
«Parlare della crisi italiana e dei suoi possibili sbocchi
ha molto a che fare con la discussione sul tema delle elezioni politiche che
affronteremo questo pomeriggio.
Da anni mettiamo in luce i tre aspetti principali della
crisi italiana: la crisi economica, quella sociale, quella politica.
La crisi economica non è certo finita. La modesta
"ripresina" in corso è solo un effetto della svalutazione interna (in
primo luogo la discesa del salari), unita ad un trend internazionale
favorevole. Si tratta però del modesto recupero di un 10% di quel che è andato
distrutto in termini di produzione, pil, apparato industriale, in dieci anni di
crisi. Un nulla, ma soprattutto un "nulla" che non reggerà al prossimo
choc finanziario.
La crisi sociale è figlia anzitutto di questo quadro
economico, così come del persistente dominio delle politiche neoliberiste. Le
conseguenze della svalutazione interna sono sotto i nostri occhi. Non solo
deflazione salariale, ma diffusione della precarietà, aumento della povertà. Un
processo di arretramento emblematizzato dal drammatico incremento
dell'emigrazione degli italiani che vanno a cercare lavoro all'estero. In ogni
caso quel che possiamo dire è che - contrariamente a quel che si vorrebbe far
credere - il malessere sociale è tuttora in crescita.
Da qui la crisi di consenso di cui soffre oggi, a
differenza del passato, il blocco dominante. E' questo il nodo cruciale della
crisi politica italiana.
Fallito il modello maggioritario e bipolare della seconda
repubblica - un modello peraltro in decadenza ovunque in Europa - le èlite
hanno tentato con Renzi il passaggio ad una "terza" repubblica,
fondata su un'ampia controriforma costituzionale e su una legge elettorale
incentrata sul meccanismo del ballottaggio.
Il 60% di no al referendum dello scorso 4 dicembre ha
seppellito questo tentativo, rimettendo al centro della scena l'insoluta crisi
politica nazionale. Ancora una volta - come già accaduto in altre forme alle
elezioni politiche del 2013 - è emersa la spaccatura tra il "paese
reale" e quello "legale". In altre parole, la frattura tra èlite
e popolo.
Alla luce di tutto ciò non sottolineeremo mai abbastanza
la centralità di una crisi politica che il blocco dominante non riesce a risolvere,
nella quale occorre intervenire. E' questa la ragione per cui ci concentreremo
sul tema in questa introduzione.
1. Il dopo 4
dicembre: un sistema politico in panne
Il referendum del 4 dicembre è per noi uno spartiacque
decisivo. Dopo il successo del no sarebbe stata necessaria un'offensiva
politica, da parte delle forze uscite vincitrici, che invece non c'è stata. Sia
il Movimento Cinque Stelle, che le forze maggioritarie del Comitato per il NO,
hanno rinunciato alla battaglia per imporre la cacciata dal governo delle forze
sconfitte, chiedendo elezioni politiche subito.
L'aver preferito il quieto vivere alla scelta di colpire
il nemico nel momento della sua massima debolezza - e qui mi riferisco
fondamentalmente ad M5S, perché la direzione del Comitato per il NO era
palesemente interna ad una concezione istituzionale e "politicamente
corretta" - ha consentito una parziale riorganizzazione delle forze
dominanti.
Abbiamo così avuto il governo Gentiloni, un mix di
fedeltà al capo e di obbedienza all'establishment, che oggi sembrerebbe
evolvere verso un'accentuazione del secondo elemento rispetto al primo.
Renzi appare infatti assai logorato. La sua resurrezione
(con la scontata vittoria alle primarie del Pd) è stata solo parziale. Sia
chiaro, Renzi è ben lungi dall'uscire di scena, come frettolosamente qualcuno
da già per scontato. Egli tuttavia non potrà essere il "Macron
italiano". Avrebbe potuto esserlo se tre anni di governo e la sconfitta
referendaria non l'avessero bruciato. Oggi è ancora in campo ma non potrà più
avere quel ruolo. Quella è la ragione per cui consistenti settori del blocco
dominante l'hanno ormai abbandonato al suo destino.
Il vivacchiare del governo Gentiloni, unita alla
debolezza del suo azionista di riferimento, ci mostra un sistema politico
ancora in panne. E l'emblema di tutto ciò è il caos sulla legge elettorale. Una
legge che pareva fatta a giugno, poi saltata clamorosamente insieme all'accordo
politico che sembrava sorreggerla. Ma di questo parleremo più avanti.
La risultante di questo anno di piccolo cabotaggio è una
situazione di stallo, nella quale nessuno dei tre poli (destra, M5S e Pd più
cespugli) potrà credibilmente candidarsi a governare da solo.
Ovviamente, non c'è bisogno di dirlo, in campagna
elettorale tutti diranno di puntare alla vittoria. Ma una vittoria piena sarà
impossibile, non solo (come si vorrà far credere) a causa della legge
elettorale, ma soprattutto perché nessuno di questi tre poli ha una vera
capacità di egemonia, nessuno dispone di una "narrazione" convincente
che possa suscitare speranza anziché rassegnazione, nessuno ha una vera
proposta per portare il Paese fuori dal marasma in cui è stato gettato.
Il paradosso è che, essendo tutti deboli, ognuno di
questi poli vive e galleggia proprio grazie alla debolezza altrui.
A destra è oggi di moda l'unità. Salvini torna ad Arcore
pur non rinunciando alle sue velleità e tutti sembrano andare d'amore e
d'accordo. Ma è evidente che così non stanno le cose. La destra è e rimane
divisa sia sulla leadership che sul programma. Ancor di più appare divisa sul
dopo elezioni, quando Berlusconi guarderà a Renzi e la Lega riprenderà la via
dell'opposizione. Alla destra mancano infatti i numeri per governare. Anche
qualora raggiungesse nel suo insieme il 35% (cosa di cui dubitiamo assai) ciò
non basterebbe a riconquistare Palazzo Chigi.
Il Pd è attraversato da mille tensioni, al punto che non
si escludono nuove rotture in autunno. In ogni caso è evidente che l'idea
maggioritaria lanciata dieci anni fa da Veltroni e inizialmente concretizzata
da Renzi oggi è solo aria fritta. In quanto alle possibili aggregazioni non si
capisce come potrebbero realizzarsi prima del voto. Ma anche guardando al dopo,
il "centrosinistra" è oggi una cosa assolutamente indefinibile come
coalizione di governo, prefigurando al massimo l'aggiunta subalterna delle
solite frattaglie di sinistra (oggi ai minimi termini) più gli ex-piddini di
Mdp.
In quanto ai Cinque Stelle il discorso è breve. La linea
"neodemocristiana" può sì garantire il galleggiamento, ma mai e poi
mai lo sfondamento elettorale. L'assenza di un vero programma di cambiamento,
la rinuncia a qualsiasi politica delle alleanze, fanno di M5S un candidato ben
poco credibile per la guida del Paese.
La risultante di tutto ciò è che nessuno dei tre poli
potrà governare da solo. Questo impedisce alle oligarchie una chiara scelta di
campo. Lorsignori vogliono vincere, e se non c'è un vincente già prima meglio
per loro dedicarsi fin d'ora ai giochi del dopo-elezioni.
2. Come l'oligarchia
cercherà di mantenere il controllo
Due sono i punti decisivi per cercare di capire come si muoverà il blocco dominante.
a) Il "Macron italiano" semplicemente non c'è.
Per mesi i media si sono affannati ad individuarlo, ma senza risultato. In Italia
la soluzione del "salvatore" - del presunto "uomo nuovo",
tanto sganciato dai partiti quanto tenuto ben stretto dall'èlite - è già stata
sperimentata e bruciata. Oggi questa strada non è percorribile.
b) La soluzione delle "larghe intese" sarà
nell'immediato del dopo-voto la scelta più probabile delle forze dominanti.
Anche se oggi non è possibile definirne nel dettaglio la geometria, essa
richiederà l'assemblaggio di tutte le forze sistemiche (da Forza Italia ad Mdp,
per intenderci). unite in nome dell'Euro(pa). Avremo cosi, di fatto, l'ennesimo
governo del partito tedesco. Ma le forze che lo comporranno saranno però divise
su quasi tutto il resto. Le "larghe intese" si presenteranno perciò come
una soluzione obbligata quanto debole e (almeno nelle intenzioni) transitoria.
In prospettiva, volendo superare queste queste
difficoltà, le forze oligarchiche tenteranno il rilancio del bipolarismo, con
una nuova legge maggioritaria, con le relative coalizioni. Così come avvenuto
alle elezioni francesi, lorsignori hanno bisogno di trasformare un modesto 30%
di voti in un 60% di seggi. Capendo di non poter riuscire a risalire la china
di un consenso perduto, le èlite non possono prescindere da un meccanismo
truffaldino che stravolga quanto più possibile il principio della
rappresentanza. Ma quando concretizzare questo progetto?
A tanti, nel blocco dominante, piacerebbe forzare la
situazione in autunno. Ma questo significherebbe spazzare via Renzi già prima
delle elezioni, ponendo così il Pd in una crisi difficilmente gestibile. Venuta
meno la sua legge elettorale (il cosiddetto "Italicum"), il
segretario del Pd resta infatti contrario al sistema delle coalizioni pre-voto,
un meccanismo che porterebbe quasi certamente alla fine della sua leadership.
Proprio perché troppo rischiosa, la forzatura autunnale sembra dunque assai
improbabile.
Più probabile invece che l'attuale agitarsi delle èlite
contro lo stesso Renzi - reo fra l'altro di essersi schierato contro il fiscal
compact - serva piuttosto a preparare il dopo-voto. Per raggiungere i loro
obiettivi, a lorsignori converrà un quadro molto frammentato. Da qui una sorta
di "strategia del caos" al fine di avere partiti deboli, leaders
deboli, istituzioni sempre più screditate a partire dal parlamento. E' in quel
quadro che potrà dispiegarsi al meglio la loro offensiva per tornare ad imporre
una legge elettorale ultra-maggioritaria, rovesciando così lo stesso esito del
referendum costituzionale.
3. Breve parentesi
sulla legge elettorale: due possibilità
Esaminare la crisi politica italiana, e soprattutto i
suoi possibili sbocchi, è oggi reso più difficile dal caos che regna sulla
legge elettorale in vista delle elezioni della prossima primavera. Volendo
semplificare al massimo la questione, possiamo dire che esistono al momento
solo due possibilità.
La prima - che abbiamo già giudicato come estremamente
improbabile - prevede che l'operazione anti-Renzi riesca già in autunno. In
quel caso il parlamento, che certo non può prescindere dall'enorme peso del Pd,
varerebbe una nuova legge di fatto molto simile a quella con la quale si è
votato dal 2006 al 2013, il cosiddetto "Porcellum".
La seconda - di gran lunga più probabile - è che
l'operazione tendente a riproporre il maggioritario debba essere rimandata a
dopo il voto. In questo caso si aprirebbe la strada o ad un rilancio del
modello saltato a giugno (il cosiddetto "tedesco") o ad un modesto
ritocco delle due leggi uscite dalle sentenze della Corte Costituzionale (la
cosiddetta "omogeinizzazione" tra Camera e Senato). In un caso come
nell'altro si aprirebbe di sicuro la strada ad un governo di coalizione, la cui
esatta composizione rimane però tutta da vedersi.
4. Il quadro
post-elettorale
Avremo dunque un replay del 2013? In un certo senso sì,
la situazione dell'immediato post-voto potrà presentarsi come assai simile. La
differenza, però, sta proprio nel fatto che sono passati cinque anni e che non
è neppure immaginabile che ne passino altri cinque in questa condizione.
Quale veste verrà allora scelta per rendere presentabile
l'operazione? Governo tecnico, istituzionale, finalizzato alla nuova legge
elettorale? Ovviamente non possiamo saperlo oggi. Ma forse l'ipotesi più
probabile è quella di una sorta di Gentiloni-bis (non necessariamente con lo
stesso capo del governo) con un duplice mandato: (1) l'assoluta continuità
delle politiche europee a garanzia dell'oligarchia eurista e (2) il ritorno ad
una legge elettorale fortemente maggioritaria, confidando su un parlamento più
controllabile dell'attuale.
5. Conclusioni
Proviamo ora a ricapitolare, sintetizzando al massimo,
quanto detto fin qui:
1. La crisi politica
italiana è ben lungi dal risolversi.
2. I tre poli né sfondano
né escono di scena: ognuno vive grazie alle debolezze altrui.
3. Questa situazione
non si risolverà neppure con le prossime elezioni politiche.
4. Esse
determineranno però i rapporti di forza della decisiva fase post-voto.
5. Nell'immediato le
"larghe intese" saranno la scelta obbligata del "partito tedesco".
6. Avremo tuttavia
un quadro fortemente instabile.
7. Il blocco
dominante tenterà la nuova forzatura autoritaria anche con la "strategia
del caos". Non essendo più capace di egemonia esso ha bisogno di
trasformare una modesta forza del 30% (vedi il caso francese) in maggioranza
assoluta.
In questo quadro, due saranno per noi gli aspetti
centrali: il contrasto al nuovo governo Quisling filo-tedesco che già si
annuncia; l'opposizione al nuovo progetto di legge truffa.
Chiaro dovrebbe il legame tra i possibili sviluppi della
crisi politica e lo scioglimento del nodo europeo: sottomissione ed accettazione del ruolo di colonia o liberazione
nazionale dal vincolo esterno? Vorrei far notare che - ovviamente in
termini diversi - la questione è stata posta perfino dal co-direttore del Financial Times Wolfgang Munchau.
"Colonia" e "governo coloniale" sono le espressioni da lui
usate recentemente per raffigurare il possibile futuro dell'Italia. Co-lo-nia!
Cos'altro dobbiamo aspettare per far suonare l'allarme?
Se questa è la situazione, possono le forze sovraniste
democratiche e costituzionali rimandare a "tempi migliori" la loro
organizzazione, al fine di essere parte attiva e riconosciuta in questa
battaglia?
In tutta evidenza non possono. E - visto che nel
pomeriggio parleremo di elezioni - ricordiamoci che anche se il quadro
descritto fosse attendibile solo in minima parte, è ben difficile che la
prossima legislatura possa trascinarsi al pari dell'attuale per 5 anni.
Realisticamente dobbiamo invece immaginare, dopo le elezioni del 2018, nuove elezioni
entro un paio d'anni: o perché la coalizione non tiene, o perché regge fino al
varo di una nuova legge elettorale che condurrebbe inevitabilmente allo
scioglimento delle Camere.
Traiamone dunque le dovute conclusioni.
Evidenti sono le difficoltà dell'oggi. Evidenti al punto
da far sembrare folle la nostra idea, che è però l'unica - come già ricordava
Daniela Di Marco - che cerca di porsi al livello dei problemi. Livello già
raggiunto nell'elaborazione e nel programma. Il problema è quello delle forze:
che vanno cercate, attivizzate ed unite sulla base di un'idea inclusiva di
patriottismo costituzionale. Un concetto che prefigura il modello sociale da
proporre per un'Italia sovrana. Un modello opposto a quello ultra-liberista del
finto sovranismo di destra.
Nell'immediato le difficoltà saranno enormi,
probabilmente insormontabili, ma non è con il rinvio che si affronteranno i
problemi. Anche perché l'avversario non aspetta i nostri tempi, e passate le
elezioni tedesche ed italiane si andrà comunque ad una stretta: colonia sottomessa o liberazione nazionale?
Questo è il punto, e se noi crediamo che la liberazione nazionale sia
possibile - e noi lo crediamo - dobbiamo muoverci fin da oggi».
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