ELEZIONI 2018: LA PROPOSTA DELLA C.L.N.

10.9.17

LA CATALOGNA, LA SPAGNA E L'UNIONE EUROPEA di Diosdado Toledano

Il conflitto tra Catalogna e Stato spagnolo nel contesto dell'Unione europea
Il primo settembre si è svolto a Chianciano Terme il Forum Internazionale organizzato dalla Confederazione per la Liberazione Nazionale - CLN, [1] per ascoltare vari esponenti di punta di movimenti che nei loro paesi si oppongono alle politiche neoliberiste delle élite dominanti.
Presentiamo ai lettori il testo della densa relazione svolta Diosdado Toledano, fortemente critico della prospettiva secessionista catalana.
Diosdado è membro del coordinamento generale di Cataluña en Comu ed è portavoce di Socialismo XXI.



Diosdado Toledano (a sinistra) e Moreno Pasquinelli
"Senza sovranità economica l'indipendenza è una finzione".



L'emozione provocata dai recenti attentati jihadisti a Barcellona e Cambrils ha avuto una risposta civica di massa nella manifestazione di Barcellona lo scorso 26 agosto; ma insieme al clamore di "non abbiamo paura" si  sono manifestate anche le tensioni del conflitto tra Catalogna e Spagna.
Ci troviamo davanti ad un eccezionale momento di definizione del conflitto tra la Catalogna e lo Stato spagnolo,  che a differenza di altri momenti della storia presenta una dimensione europea, tanto nelle cause come nelle conseguenze.
Com'è risaputo, è stato indetto per il 1 ottobre  un referendum sull'indipendenza della Catalogna. Tale referendum si celebrerà tre settimane dopo la mobilitazione della "Diada", l'11 settembre, la tradizioale festa dove si rivendicano i diritti nazionali della Catalogna. 
Fino al 2011 tali rivendicazioni si limitavano in prevalenza alla richiesta di autogoverno e autonomia, mentre a partire dal 2012 si riferiscono al cosiddetto "diritto di decidere" e all'indipendenza.
In questi giorni il governo della Generalitat e la coalizione indipendentista formata da "Junts pel Si" (alleanza elettorale tra PdeCAT [Partito Democratico Europeo Catalano], ERC [Sinistra Repubblicana di Catalogna]) e la CUP [Candidatura di Unità Popolare]) definiranno il procedimento di convocazione, approvando il progetto di "Legge del referendum di autodeterminazione", che nel suo articolo quattro, commi 3 e 4, attribuisce al risultato un carattere vincolante [2]. Per una decisione di questa portata, in questo progetto di legge, non è richiesta una maggioranza di due terzi del Parlamento (come sarebbe previsto dallo Statuto di Autonomia per le sue riforme [3]), né viene stabilita una soglia minima di partecipazione. Un voto a maggioranza semplice sarà sufficiente per dichiarare l'indipendenza della Catalogna.
Il governo dello Stato spagnolo, in mano a un Partito Popolare in difficoltà e segnato da una storia interminabile di corruzione, ha delegato alla Corte Costituzionale le azioni giuridiche di risposta alla sfida indipendentista. 
Politicamente può contare sull'appoggio fondamentale del partito liberale Ciudadanos e della vecchia élite del PSOE. In questo conflitto, Unidos-Podemos preconizza il riconoscimento concordato del diritto di decidere (una versione leggera del diritto di autodeterminazione), ma rifiuta il carattere vincolante del referendum e quindi la dichiarazione unilaterale di indipendenza. 
Il PSOE, con la nuova direzione di Pedro Sanchez, ha fatto un passo positivo e dialogante nel riconoscere il carattere plurinazionale della Spagna, proponendo una difficile – per non dire impossibile – riforma costituzionale federalista come modo di uscire dalla contesa, ma si oppone a riconoscere la legittimità dei referendum indipendentisti e rifiuta quello convocato il 1 ottobre.
L'opinione della cittadinanza in Catalogna è gravemente divisa e frammentata. Secondo l'ultimo sondaggio realizzato da Centro di studi e di opinione, sotto il controllo della Generalitat [4], i favorevoli all'indipendenza perdono un punto – dal 45,3% al 44,3% – mentre coloro che la rifiutano acquistano più di due punti – dal 46,8% al 48,5%; la percentuale di popolazione favorevole al referendum è scesa fino al 73,6% (da un 85% attribuito in un precedente sondaggio). 
La maggioranza della società spagnola non simpatizza con i referendum del 1 ottobre e ha un atteggiamento che varia dall'incredulità a un'ostilità aperta in caso di esito positivo del referendum e conseguente dichiarazione di indipendenza.

Quali sono le cause o i fattori dell'ascesa indipendentista in Catalogna?

Le diverse inchieste realizzate dal CEO in Catalogna [5] mostrano che tra giugno del 2005 e luglio del 2009 l'opzione indipendentista non superava il 20% dei consensi, mentre la somma delle opzioni federaliste o partitarie dell'autonomia superavano il 70%. Tra inizio 2010 e luglio 2011 l'opzione indipendentista è cresciuta sino a superare il 30%, mentre la somma delle altre opzioni scendeva al 66%.
A partire dal 2012 l'opzione indipendentista si diffonde fino a raggiungere la punta massima nel luglio del 2013, con il 48,5%, superando le opzioni non indipendentiste, al 45,3%. Da allora l'opzione indipendentista registra una discesa nei gradimenti, fino a arrivare al 34,6% nel secondo trimestre del 2017; in cambio, la somma delle opzioni non indipendentiste recuperano posizioni fino a raggiungere il 56%.

L'evoluzione del sentimento indipendentista in Catalogna è inseparabile da una serie di eventi, sia di carattere giuridico e politico,  sia soprattutto di carattere socio-economico.

1) La sentenza della Corte costituzionale del 28 giugno 2010 sul ricorso presentato dal gruppo parlamentare del PP contro il Nuovo Statuto di Catalogna approvato nel referendum del 18 giugno del 2006 con il 74% dei voti e una partecipazione del 49,4% [6]. Tale sentenza annulla 14 articoli giudicati incostituzionali, quando negli statuti di Andalusia e Comunità Valenzana analoghi articoli non sono stati messi in discussione.
Questo fatto provocò un'evidente disagio in ampi settori della cittadinanza catalana, che si espresse nella grande manifestazione unitaria del 10 luglio del 2010, con 1 milione di partecipanti. Tuttavia tale mobilitazione fu puntuale e non ebbe continuità nel breve periodo: la successiva manifestazione dell'11 settembre 2010 registrò una bassa partecipazione, circa 10.000 manifestanti [7].

2) L'aggravarsi della crisi economica e del disagio sociale e politico. A partire dal 2009 la crisi economica mondiale iniziata negli Stati Uniti fa scoppiare la bolla immobiliare in Spagna, con una rapida distruzione di posti di lavoro che porterà la disoccupazione fino al livello di 4,7 milioni di persone alla fine del 2010.
Le politiche di riforme e austerità che applicano il governo del PSOE sotto Zapatero in Spagna, e quello di Artur Mas  (CiU) in Catalogna, provocheranno un grave scontento sociale che darà luogo alla nascita del movimento 15-M degli Indignados.
Nel settembre del 2011 PSOE e PP approvano la controriforma costituzionale dell'articolo 135. In quei mesi il conflitto socio-politico anti-neoliberista egemonizza la protesta e la mobilitazione sociale. In Catalogna il governo della destra nazionalista reprime brutalmente il presidio degli Indignados in piazza Catalogna [8]. La protesta sociale occupa piazze e strade, mentre la manifestazione nazionale dell'11 settembre di quello stesso anno mantiene bassi livelli di partecipazione.

3) La vittoria del PP nelle elezioni generali del 20 novembre 2011 forniscono ad Artur Mas e alla maggioranza del CiU, così come alle forze politiche indipendentiste, l'alibi per promuovere la campagna a favore del " diritto di decidere" e dell'indipendenza della Catalogna.
Al motto di " La Spagna ci deruba" e con il mantra di una Spagna antiquata e irriformabile, le forze indipendentiste utilizzano tutti i mezzi propagandistici di cui hanno il controllo, specialmente la televisione catalana, per manipolare i dati fiscali e accusare lo Stato spagnolo di spoliazione fiscale della Catalogna. Si parla di una cifra pari a 16 miliardi all'anno (8,5% del PIL catalano). (Questa cifra è stata successivamente smentita dal Consigliere economico del governo della Generalitat, Màs Collel, che la ridimensiona a circa 3,3 miliardi, ovvero 1,5% del Pil catalano). Il messaggio alla società catalana è il seguente: se la totalità della ricchezza generata in Catalogna si distribuisse tra i suoi cittadini e non subisse la spoliazione fiscale dello Stato spagnolo, il livello di benessere sociale in Catalogna sarebbe ben superiore e raggiungerebbe i livelli più elevati dell'Unione europea.
L'omissione deliberata da parte del governo della Generalitat e degli indipendentisti dei dati sulla bilancia commerciale ha facilitato l'obiettivo di sedurre una parte della popolazione catalana non indipendentista, convincendola che indipendenza della catalogna era la sola soluzione per recuperare il perduto benessere sociale. 
Tali dati in realtà ci dicono che sul mercato interstatale la Catalogna nel 2016 vantava nei confronti del resto della Comunità l'enorme avanzo di 17,5 miliardi di euro (8,6% del PIL catalano), e nei confronti del mercato estero, Unione europea e mondiale, un disavanzo di 12,7 miliardi (2% del PIL catalano).

La società catalana nella sua maggioranza rifiuta i governi conservatori e post franchisti del PP, che sta radicandosi nel solco della propria storia: Guerra civile, governo di Aznar e suo appoggio alla guerra imperialista in Iraq, lotta contro le autonomie, etc. 
Questo sentimento di rifiuto è cresciuto a seguito delle brutali politiche antisociali del governo di Mariano Rajoy, prima fra tutte la controriforma del lavoro del 2012 (approvata con il voto favorevole di CiU, ex PDeCAT), che ha distrutto più di 1 milione di posti di lavoro portando la cifra dei disoccupati a 6 milioni.
Tale sentimento è stato strumentalizzato da Artur Mas e dal suo governo sia per attutire gli effetti dei diversi scandali di corruzione (il caso Pujol, quello del Palau de la Mùsica, la Commissione 3%) che minacciavano di travolgerlo,  sia per distrarre dal malessere dei tagli sociali applicati dal governo della Generalitat:  estraendo dal cilindro il "diritto di decidere" ha ottenuto di sviare l'opinione pubblica da queste criticità, per mobilitarla nella campagna per il diritto di decidere e l'indipendenza.
L'ipocrisia del governo di Artur Mas ha raggiunto livelli difficili da superare, Mentre iniziava la campagna in difesa della sovranità di Catalogna e per il " diritto di decidere " il suo gruppo parlamentare al Congresso dei deputati votava a favore della Legge organica di stabilità, in attuazione delle direttive UE, che conferiva allo Stato spagnolo poteri per intervenire sui governi autonomi si nel caso di mancato adempimento degli obiettivi di 
la destra franchista-unionista....
deficit e debito assegnati, agevolando di fatto la ri-centralizzazione dello Stato spagnolo.
L'impulso della Generalitat alla campagna indipendentista con il concorso delle organizzazioni della società civile (ANC, Omnium, etc) ottenne l'effetto desiderato: l'11 settembre 2012 la mobilitazione indipendentista arrivò ad un livello di partecipazione storico. Secondo gli organizzatori manifestarono 1,5 milioni di persone (600.00 secondo il governo. In ogni caso fu il momento di auge dell'indipendentismo in Catalogna [11], la cui grande capacità di mobilitazione continuerà nelle successive chiamate delle Diada dell'11 settembre, , dal 2013 al 2016, così come nella consultazione referendaria del 9 novembre 2014 dove votarono 1,8 milioni di persone a favore dell'indipendenza (su 5,3 milioni di persone degli aventi diritto in Catalogna).

4) Il ruolo destabilizzante o disgregativo dell'Unione europea è fondamentale per capire l'ascesa indipendentista in Catalogna, un fenomeno che non è esclusivo dello Stato spagnolo, e il cui contagio minaccia di estendersi ad altri paesi dell'Unione europea.
La rinuncia alla sovranità economica che la moneta unica implicava, si aggiungeva alle concessioni realizzate in questa logica con l'avvio del Trattato di Maastricht, il Trattato di Lisbona, il Patto Euro plus, l'articolo 135 della costituzione spagnola, il trattato di stabilità. Questo tradimento, la rinuncia o cessione di sovranità, ha goduto di un ampio consenso e complicità tra le élite politiche dello Stato spagnolo e catalano: dal PP al PSOE, passando per le organizzazioni del resto della destra e  del centro nazionalista (CIU, PNV etc), e con l'assenza di opposizione (salvo Izquierda Unida all'epoca in cui Julio Anguita fu coordinatore generale, e altre marginali organizzazioni della sinistra radicale e rivoluzionaria).
Questo vero e proprio "cartello" spiega il silenzio di tutti costoro davanti al ruolo decisivo dell'Unione europea nella gestione della crisi e l'imposizione delle ricette economiche che danno priorità alla rimborso del debito ai paesi creditori, e di conseguenza la sua riduzione ad ogni costo.

In questo contesto le forze indipendentiste poterono incolpare esclusivamente lo Stato spagnolo del malessere sociale e della crisi economica. Uno Stato che del resto non dispone di alcun  potere per imporre all'interno della UE una politica alternativa.
Il cinismo ipocrita delle forze di maggioranza e dell'indipendentismo in Catalogna, coalizzate in Junt pel Si, si manifesta nella loro difesa di un progetto di Stato sovrano catalano all'interno della Ue, poiché sanno perfettamente che i trattati dell'Unione [12] lo rendono estremamente difficile per non dire impossibile.
Ma anche se un miracolo lo rendesse possibile, il livello di debito pubblico dell'amministrazione della Generalitat (che raggiunge la cifra di 75 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere la parte che le corrisponderebbe del debito dello Stato spagnolo, più la parte del debito esterno (privato e pubblico) che arriva quasi 2 miliardi di euro) impedirà alla Catalogna - nel caso continuasse all'interno della Ue come sostiene a oltranza Junt pel Si - di attuare come uno Stato sovrano indipendente, essendo obbligato ad applicare le politiche dettate da Bruxelles e Berlino se non vuole conoscere le pressioni e i ricatti subiti dalla Grecia.

In questo scenario, determinati settori della sinistra radicale hanno idealizzato il conflitto nazionale atraendolo dal quadro di condizionamento della Ue, e si illudono che si tratti di un'opportunità per scatenare un processo di trasformazione rivoluzionaria che superi il capitalismo. In quest'ottica, non tengono conto del fatto che l'egemonia politica del movimento indipendentista è detenuta da partiti e organizzazioni che difendono il capitalismo o non lo mettono apertamente in discussione (salvo la minoritaria CUP), e che i settori popolari mobilitati sono fondamentalmente la piccola borghesia urbana e rurale, classi medie, eccetera. La maggioranza della classe lavoratrice si mantiene distante e non si lascerà utilizzare come carne da cannone nell'avventura indipendentista, essa mantiene la memoria viva delle politiche di tagli sociali e appoggio alla controriforma del lavoro del CIU, ora PDeCat, che hanno provocato l'aumento scandaloso delle disuguaglianze.
Inoltre, una parte importante della società catalana teme con ragione che in una società tanto integrata economicamente come quella spagnola, come dimostrano le relazioni commerciali tra Catalogna e lo Stato spagnolo, l'indipendenza comporterebbe gravi 
conseguenze sul benessere generale e in particolare sul quello della classe lavoratrice e dei settori più vulnerabili. Non si tratta unicamente delle prevedibili misure di protezione del mercato spagnolo rispetto alle " esportazioni " della Catalogna, in assenza della necessaria redistribuzione fiscale della ricchezza per il riequilibrio dell'economia. La questione più semplice: il resto dello Stato spagnolo non potrà comprare prodotti catalani perché non disporrà di risorse sufficienti, e se lo facesse sarà a prezzo di un grave indebitamento che non potrà mantenersi indefinitamente nel tempo. Senza contare gli effetti devastanti che ciò comporterebbe sui debiti rispettivi e sulla credibilità dei mercati.

Ci sono alternative alla prevedibile disfatta indipendentista e alla frustrazione che ne risulterà?

In una situazione di conflitto di poteri che prefigura lo scontro frontale, il vantaggio è per la parte che gode di maggior forza e controllo dello Stato: istituzioni rappresentative, Corte costituzionale, forze di sicurezza, appoggio della maggioranza della popolazione spagnola sul tema del conflitto, appoggio internazionale, particolarmente della Ue che non rischierà di legittimare un processo che può contaminare altri Stati membri.
In questa prospettiva, l'esito del conflitto è favorevole al governo dello Stato spagnolo. Il governo della Generalitat e le forze indipendentiste si accingono al conflitto in una società divisa, dove la maggioranza si posiziona contro l'indipendenza, ma dove la parte che scommette per l'indipendenza è iper-mobilitata.
Nel parlamento l'opzione indipendentista può far valere il voto maggioritario dei gruppi parlamentari, (Junts pel Si e CUP detengono 72 seggi su 135) tuttavia questa aritmetica parlamentare, che trae vantaggio della legge elettorale non strettamente proporzionale, non rispecchia fedelmente la realtà sociale, che in gran maggioranza ha appoggiato opzioni non indipendentiste [14].

L'apprendista stregone Artur Mas, bocciato dalla CUP [15], deve constatare insieme alla direzione del PDeCAT che la sua base elettorale va frantumandosi e restringendosi verso l'irrilevanza, mentre ERC trae vantaggio e la sorpassa, come gli ultimi sondaggi manifestano.
Dall'altra parte, il PP cerca di capitalizzare la possibile reazione della società spagnola contro l'indipendenza presentandosi come baluardo della difesa dell'unità spagnola, quando in realtà l'immobilismo del PP e di Mariano Rajoy è il principale stimolo all'indipendentismo.
Tuttavia gli evidenti rischi che esistono intorno all'esito del conflitto non lasciano prevedere una vittoria piena e duratura per la destra spagnola le forze centraliste.
L'usura del PP continuerà come conseguenza degli episodi di corruzione e di un miglioramento economico di cui non beneficia la maggioranza sociale, che continua a subire un'elevata disoccupazione, un enorme precarietà e povertà lavorativa come risultato della sistematica svalutazione salariale.
La prevedibile crisi politica provocata dal conflitto finirà presto col rigirarsi contro il PP, dando impulso a un processo che culminerà con una mozione di sfiducia il cui successo porterebbe alla convocazione di nuove elezioni generale (in questa occasione i deputati del PDeCAT al congresso dovrebbero votare a favore…) offrendo quindi l'opportunità di un cambio di governo che releghi il PP all'opposizione.

Ma il vittimismo che produrrà nella società catalana la proibizione del referendum [la Corte Costituzionale spagnola lo ha sospeso a titolo cautelativo, con delibera del 7/9 - NdT] continuerà ad alimentare la volontà di una parte della cittadinanza di proseguire la lotta per l'indipendenza.

Senza sovranità economica l'indipendenza è pura finzione

Indipendentismo catalano prosegue il suo cammino verso l'incoerenza alla frustrazione. Nella recente proposta di legge di "Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica" [16], presentata insieme da PDeCAT, ERC e CUP, l'articolo 13 del "regime giuridico della continuità" si stabilisce che "le leggi organiche dello Statuto di autonomia e della Costituzione spagnola vigenti al momento dell'entrata in vigore della presente legge, assumono rango di legge ordinaria se non sono state incorporate nella presente legge  e purché non la contravvengano".

Ci si chiede allora perché non si rifiuta esplicitamente la legge organica di stabilità o l'articolo 135 della Costituzione spagnola.
La risposta implicita questo viene  dall'articolo 14 che ha come titolo "Continuità del diritto dell'Unione europea". L'articolo stabilisce:

1) Le norme dell'Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell'entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell'amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.

2) le norme dell'Unione europea che entrino in vigore posteriormente all'entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell'ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell'Unione europea.
Siamo davanti a una confessione di servilismo nei confronti della Ue e delle sue istituzioni, di rinuncia alla sovranità economica. Gli indipendentisti di Catalogna sono bravi ragazzi e la Signora Merkel non tema: continueranno ad applicare le politiche di tagli sociali necessarie per raggiungere gli obiettivi di deficit pubblico e garantire la restituzione del debito.

Davanti a questa situazione la sinistra rivoluzionaria socialista, sovranista e internazionalista, difende una strategia realistica e onesta. 
Onesta, perché è cosciente del tradimento, della rinuncia e perdita di sovranità, tanto della Spagna come della Catalogna, nel contesto dell'attuale Unione Europea. 
Realistica, perché consapevole che per risolvere in modo soddisfacente e democratico il conflitto tra Catalogna e Spagna, è necessario costruire una forza politico-sociale superiore a quella che possiedono le destre e il centralismo spagnolo.
Il buon senso consiglia di non andare a scontrarci in un referendum che non garantisce le minime condizioni di  dibattito democratico su tutte le alternative, come dimostra da tempo l'esclusione sistematica - nei media controllati o influenzati dal governo della Generalitat -  dell'opinione alternativa rappresentata dal  federalismo di libera adesione. Con regole del gioco imposte senza dialogo né consenso, la partecipazione al referendum con il voto No sarà strumentalizzata dall'indipendentismo per legittimare tale referendum e la relativa dichiarazione unilaterale di indipendenza, dato il suo carattere vincolante. 
Si tratterebbe in realtà di fare il gioco degli obiettivi politici reali di ERC e PDeCAT, quali presto si manifesteranno.
Come alternativa a questo scenario di ipocrisia, truffa politica, frustrazione e impotenza, bisogna creare un'alleanza dei popoli dello Stato spagnolo, che permetta recuperare la sovranità economica e politica per realizzare la democrazia, sviluppare politiche di superamento della crisi, recuperare i diritti sociali e del lavoro eliminati superando le leggi ingiuste.

Per tutto ciò è necessario rompere con l'Unione europea e l'euro.

Questo processo implica prima poi l'apertura di un processo costituente, la rottura con il regime monarchico e l'elaborazione di una Costituzione federale di libera adesione, che riconosca il diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo modo si creeranno le condizioni di fratellanza e dialogo che faciliteranno la collocazione delle diverse nazioni presenti in Spagna in un progetto comune liberamente condiviso.
Parallelamente dobbiamo andare avanti nella costruzione di un progetto di collaborazione con altri paesi dell'Unione europea, specialmente quelli del sud, basato sull'uguaglianza, la giustizia, la solidarietà.
Tuttavia dietro il conflitto che si aprirà tra i governi di Catalogna e Spagna, che coinvolgono importanti settori del popolo,  esiste un ampia zona di incognite e imprevedibilità.

* Traduzione di Mauro Poggi

Note

[1] Al Convegno, oltre a DIOSDADO TOLEDANO, Spagna (Socialismo XXI), hanno partecipato per la parte internazionale:
INGE HOEGER, Germania (Die Linke)
KUNLE OLULODE, Gran Bretagna (Invoke Democracy
GABRIEL AMARD e CHRISTIAN RODRIGUEZ, Francia (France Insoumise)
DIMITRIS MITROPOULOS, Grecia (Unità Popolare)

[2] Il progetto "Legge del referendum di autodeterminazione", al Titolo III, art articolo quattro 4 comma 3, stabilisce "il risultato del referendum avrà carattere vincolante". Il seguente comma quattro: "se il conteggio dei voti validamente messi da come risultato che ci sono più Sì che No, ciò implica l'indipendenza della Catalogna. A tale effetto il Parlamento catalano entro il due giorni seguenti la proclamazione dei risultati celebrerà una sessione ordinaria per effettuare la dichiarazione formale di indipendenza della Catalogna, i suoi effetti e stabilire l'inizio del processo costituente".
Si veda: http://www.elperiodico.com/es/politica/20170704/ley-referendum-cataluna-pdf-6147161

[3] Il titolo VII il nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna relativa alla riforma eventuale dello Statuto stesso, stabilisce  negli articoli 222 e 223, comma b), la necessità del voto favorevole dei due terzi del Parlamento per approvare tale riforma. Il carattere straordinario della decisione di convocare un referendum vincolante che in caso di vittoria del Sì dichiarasse l'indipendenza, è una deroga allo Statuto, e come tale andrebbe democraticamente soggetta alle procedure stabilite.

[4] http://www.elperiodico.com/es/politica/20170330/encuesta-independencia-cataluna-ceo-marzo-2017-5936855

[5] https://es.wikipedia.org/wiki/Independentismo_catal%C3%A1n




















[6] http://www.elmundo.es/especiales/2006/06/estatuto-catalan/resultados/globales/09/
[7] https://politica.elpais.com/politica/2011/05/27/actualidad/1306489864_137130.html
[8] https://politica.elpais.com/politica/2011/05/27/actualidad/1306489864_137130.html
[9]https://www.infolibre.es/noticias/opinion/2015/09/06/las_cuentas_los_cuentos_independencia_37329_1023.html
[10] http://www.c-intereg.es/informe_trimestral_cintereg_07_2017.pdf











[11] Vedere grafico:

















[12] Art 49 Trattato di Lisbona, procedimento di adesione alla UE di nuovi stati membri.
http://www.europarl.europa.eu/atyourservice/es/displayFtu.html?ftuId=FTU_6.5.1.html

[13] http://blogs.publico.es/vicenc-navarro/2017/06/30/el-mayor-problema-que-tiene-hoy-catalunya-del-cual-no-se-habla-la-crisis-social/

[14] Vedere risultato ultime elezioni Generalitat Catalogna, 27/09/2015:


















[15] CUP è un'organizzazione indipendentista di sinistra radicale che appoggia l'attuale Governa della Generalitat, garantendogli stabilità in cambio dell'impegno a mantenere la sua politica indipendentista. Ha contribuito all'approvazione della legge finanziaria antisociale del 2017.

[16] http://www.elnacional.cat/es/politica/documento-texto-integro-ley-transitoriedad-juridica-fundacional-republica_186198_102.html


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