Volentieri pubblichiamo questo intervento di Riccardo Achilli, responsabile economia di Risorgimento Socialista e membro della Confederazione per la Liberazione Nazionale (CLN).
Ci
sarebbe veramente molto poco da dire sull’happening odierno di Piazza
Santi Apostoli. Si è trattato in buona sostanza di un evento di
riorganizzazione delle macerie della Sinistra Dem e della componente
Popolar-democristiana del Pd, maciullate dal renzismo ma, più di tutto,
dalla loro assoluta inadeguatezza storica nell’interpretare la fase e
dal grave livello di compromissione dei loro dirigenti, che hanno
rappresentato il passaggio liberista, nascosto da finto progressismo,
del Pd che ha sostenuto il Governo Monti, la legge-Fornero, che non ha
combattuto, preferendo uscire dall’Aula, il Jobs Act.
Casi
umani, quasi di interesse psichiatrico, di personaggi oramai senza
popolo (la microscopica piazza Santi Apostoli era piena perlopiù di
esponenti e militanti di professione del ceto politico targato Sinistra
Dem, rimasti dentro il Pd o fuoriusciti, e dell’associazionismo
collegato a tale componente, di popolo non vi era pressoché traccia)
intenti a difendersi dalla nemesi storica, dopo aver fallito il
tentativo di rivendersi come facilitatori da sinistra dell’applicazione
del pensiero neoliberista. Bastava ascoltare l’intervento di Pisapia:
snocciolando il suo discorso con vocetta stridula e la stessa passione e
vitalità di chi sta esponendo gli effetti organolettici della
somministrazione di acido acetilsalicilico a pazienti affetti da
raffreddore. Un discorsetto pieno delle medesime sciocchezze con le
quali la sinistra si è autodistrutta: il civismo, la partecipazione dal
basso in nome del superamento del partito-massa, il popolo senza
aggettivazioni di classe, il trasferimento acritico di “buone pratiche”,
nessuna analisi della fase del capitalismo e delle radici della crisi
insite nell’intreccio fra globalizzazione finanziaria e individualismo
metodologico, ma tante paroline rassicuranti sull’Europa culla della
civiltà e della pace, slogan sul contrasto alle diseguaglianze che però
non deve arrivare fino al punto di disturbare il manovratore.
Insomma,
il consueto social-liberismo ulivista, il cui massimo obiettivo
possibile è quello di compensare, caritatevolmente, le diseconomie
esterne generate dal mercato, non di aggredirne le cause. Il tutto,
invariabilmente, si risolve in micro-progettualità inoffensiva (come
l’idea di distribuire i dividendi ai manager solo se aumentano i salari
ai dipendenti di qualche spicciolo) priva di approfondimento analitico
(è facile parlare di imposizione patrimoniale, sena misurarne gli
effetti di lungo periodo sull’intero mercato immobiliare, e tale
insistenza, a pensare male, sembra molto funzionale alle brame della
Trojka di mettere le mani sul risparmio privato degli italiani, per
pagarne il debito pubblico) se non addirittura offensiva e scandalosa
(l’idea di togliere la casa alle famiglie che non possono più pagare il
mutuo per restituirgliene una in affitto – il fatto che Pisapia si venda
questa aberrazione con orgoglio misura il grado di alienazione mentale
di cui soffre). Senza una idea complessiva di società, senza un
programma strutturale che tenga insieme una visione, si dispensano al
popolo affamato pillole di micro-progettini con lo stesso cinismo con il
quale gli imperatori romani gettavano sacchi di farina alla plebe
frumentaria. Il tutto condito, come da migliori tradizioni delle
sinistra che dimentica le sue basi materialistiche, di buonismo e
sentimentalismo d’accatto, del tutto inadeguato per affrontare temi
delicatissimi come l’immigrazione di massa.
Verrebbe da dire:
non curarti di loro. Eppure non è possibile farlo. Per quanto stupido,
antistorico e privo di radicamento sia il progetto dei morti viventi
stretti attorno a Pisapia, esso ha, nella logica delle classi dirigenti
italiane, una rilevanza non da poco. Serve a stringere i ranghi di tutti
i nemici personali di Renzi, per affrontare la battaglia decisiva in
vista dell’affondamento del renzismo, che nella sua ultima torsione apre
manifestamente ad una alleanza di governo con Berlusconi. Alleanza che
potrebbe aprire la strada ad un ritorno al governo di una destra non
sempre del tutto docile con i diktat europei. Recupera elettorato di
sinistra tendenzialmente orientato all’astensionismo oppure orientato a
dare voti a progetti ben più radicali e strutturali dell’innocuo
Pisapia, ingabolandolo dentro una formazione centrista, con la consueta
trappola retorica del voto utile e della governabilità, per sbarrare la
strada ai populismi grillo-leghisti, ma anche per togliere terra sotto i
piedi ad un eventuale, possibile, progetto di sinistra più solido e
radicale (gravissimo l’errore di Sinistra Italiana di inviare una
delegazione, legittimando questo tentativo di Opa ostile sul suo bacino
elettorale. E, se non è un errore, è qualcosa di molto peggiore, ovvero
il desiderio di andare a soffocare dentro un progetto centrista, senza
peraltro nemmeno avere, in cambio, l’incentivo della poltrona, visto che
molto difficilmente una coalizione Pd-Bersani-Pisapia-Fratoianni avrà i
numeri per governare).
Insomma, sotto le insegne degli stessi
assassini della sinistra italiana già negli anni Novanta, cercando di
sostituirla con una versione italica e catto-comunista del blairismo,
fatta di social liberismo, interclassismo solidaristico e
sentimentalismo da strapaese, coperto da un pizzico di movimentismo
libertario, non a caso di nuovo presente in pista al gran completo
(Bersani, D’Alema, Prodi, Pisapia nelle vesti spente di novello
Bertinotti, e meno male che Bertinotti ha perlomeno avuto la dignità di
prendere le distanze da questa roba) si consuma l’ennesima manovra di
palazzo tipicamente italiana. Festina lente e il taglio delle ali
rimangono sempre, nella poltiglia delle classi dirigenti del nostro
Paese, le soluzioni preferibili.
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