Privati della possibilità di votare per una lista elettorale sovranista costituzionale —sulle cause di questo fallimento e sui colpevoli, che ci sono, sarebbe il momento di fare chiarezza— chi voteremo, semmai voteremo, il 4 marzo? Di certo non per il Pd, principale arnese in mano ai dominanti, né tantomeno per il centro-destra, che si candida a fare da supplente.
Ieri il vertice di Arcore tra Berlusconi, Salvini e la Meloni si è concluso con l'accordo. Come avevamo previsto il Cavaliere l'ha spuntata. Dopo mesi di invettive e rimbrotti Salvini e Meloni hanno dovuto accettare il sodalizio con la "quarta gamba" dei Lupi, dei Cesa, dei Fitto e dei Tosi — Noi con l'Italia-Udc.
Il vertice, sulla carta, era solo sulla spartizione dei collegi e la composizione delle liste. La sostanza è che Lega e Fratelli d'Italia, hanno accettato il ruolo di comprimari, anzi di portatori d'acqua al mulino berlusconiano. Berlusconi non aveva mai dubitato (di contro a tanti pseudo-sovranisti che per anni hanno corteggiato Salvini via Borghi Aquilini) che l'avrebbe avuta vinta.
Forte di questa certezza, ha rilasciato a IL FOGLIO una lunga intervista che la dice lunga sul profilo e le priorità del governo in caso di vittoria del centro-destra. Al netto delle promesse acchiappavoti, ha affermato che finalmente verrà messa in atto la cosiddetta "rivoluzione liberale". In estrema sintesi: mani libere alle imprese in nome del famigerato dogma liberista "più mercato e meno Stato". Ovvero proprio ciò che ha causato il disastro sociale e il declino nazionale.
Non si tratta, ovviamente, di una sorpresa, anzi. Quel che importa è che con questa uscita Berlusconi abbia suggellato l'accordo con Salvini e Meloni, mettendo in chiaro ai poteri forti, ma l'aveva già fatto in primavera, che lui è un convinto europeista, e che il suo modello è la Merkel e giammai la Le Pen.
I "mercati" possono in effetti dormire sonni doppiamente tranquilli. Anche ove il centro-destra ottenesse la maggioranza dei seggi, non è detto che governi.
Così lo stesso Economist, accolto finalmente Berlusconi nella grande famiglia liberale, non fa mistero che andrebbe benissimo un governo di "larghe intese" tra il Pd e Forza Italia, magari allargato a questo o quel cespuglio. E se neanche questo fosse numericamente possibile, sempre Bill Emmot non solo sdogana i Cinque Stelle ma afferma: «A Berlusconi preferisco Di Maio».
E così il cerchio si chiude. Lorsignori non commetteranno l'errore di puntare su un solo cavallo vincente, a questo giro ne hanno ben tre. Tutto fa brodo pur di evitare l'instabilità italiana, vera e propria bomba ad orologeria che può far saltare la muraglia dell'Unione europea.
E così torniamo al punto di partenza. Mentre chi sta in alto ha non solo tre opzioni e uscite di sicurezza, chi sta in basso, nelle urne, sembra non averne nemmeno una.
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